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  • Viaggio nel tempo a Palazzo Iacovone, l’oro di Poggio Sannita. Tappa imperdibile per chi arriva in alto Molise

    Chi varca la soglia di Palazzo Iacovone aspettandosi di visitare un comune frantoio ipogeo si trova immediatamente spiazzato da una realtà che sfugge a ogni classificazione convenzionale. Nelle stanze che si aprono sulla strada principale del centro storico di Poggio Sannita, l’accoglienza è affidata a Domenico Iacovone, figura dalla personalità magnetica che incarna quella particolare sintesi di erudizione e calore umano tipica della migliore tradizione intellettuale napoletana. Questo avvocato penalista di terza generazione si rivela un autentico catalizzatore di iniziative culturali, un uomo dai molteplici interessi che ha trasformato il recupero del palazzo di famiglia in una missione esistenziale, dove confluiscono passione antiquaria e richiamo ancestrale del sangue.

    L’impatto visivo è immediato e travolgente: ogni superficie muraria è colonizzata da scaffalature che si innalzano fino al soffitto, mentre sui tavoli delle diverse stanze si stratifica una collezione libraria di proporzioni vertiginose. Non si tratta di una semplice raccolta, ma di un corpus organico assemblato con rigore filologico e una punta di ossessione collezionistica che tradisce il bibliofilo autentico. Tra i tesori più preziosi emerge la collezione integrale delle opere del professor Cosmo Maria de Horatiis, medico e teorico dell’omeopatia la cui esistenza si intreccia indissolubilmente con la storia di queste mura. Nato il 25 settembre 1771, de Horatiis trascorse i primi undici anni di vita proprio tra queste stanze, prima che il palazzo fosse acquisito dalla famiglia Iacovone, assumendone il nome che conserva tuttora.

    La vicenda biografica di de Horatiis si configura come un paradigma perfetto delle contraddizioni e delle potenzialità del Mezzogiorno tra Settecento e Ottocento, epoca troppo frettolosamente liquidata dalla storiografia come fase di immobilismo borbonico. Napoli rappresentava allora una delle capitali europee più vivaci e cosmopolite, dove ai drammatici squilibri sociali corrispondeva un fermento culturale e uno sviluppo proto-industriale di notevole spessore. Il giovane Cosmo, seguendo una consolidata tradizione familiare, si laureò in medicina presso l’ateneo salernitano per poi fare ritorno al paese natale – allora denominato Caccavone – dove esercitò la professione per otto anni, costruendosi una reputazione solida nel territorio. La svolta drammatica arrivò con la restaurazione borbonica: l’adesione agli ideali liberali lo condusse, insieme a una generazione di giovani intellettuali, nelle segrete di Castel dell’Ovo. La fuga rocambolesca dalle prigioni napoletane aprì la fase dell’esilio francese, prima a Montpellier, quindi a Parigi, dove divenne assistente del leggendario chirurgo Pierre-Joseph Desault, una delle figure più eminenti della medicina europea del tempo.

    L’eccellenza delle competenze chirurgiche acquisite e i successi professionali conseguiti oltralpe gli schiusero le porte del ritorno in patria, dove conquistò la fiducia della casa regnante e si dedicò allo sviluppo del metodo hahnemanniano. L’omeopatia era giunta a Napoli al seguito delle truppe austriache, e de Horatiis ne divenne il principale divulgatore, fondando di fatto la scuola omeopatica italiana e aprendo nuovi orizzonti terapeutici nel panorama medico dell’epoca. La sua figura aleggia ancora oggi tra queste stanze, dove sono custodite centinaia di pubblicazioni che testimoniano l’evoluzione del pensiero scientifico attraverso i secoli.

    Domenico Iacovone si trasforma in cicerone instancabile di questo universo cartaceo, dispensando con generosità aneddoti, curiosità e annotazioni critiche per ogni volume della collezione (5.000 volumi, ndr). La sua passione bibliofila lo ha condotto attraverso le più prestigiose librerie antiquarie e case d’asta europee, costruendo un patrimonio che spazia dalle edizioni quattrocentesche ai documenti contemporanei. Tra le rarità più significative campeggia una copia originale della Costituzione della Repubblica Italiana, mentre i manoscritti più antichi risalgono al XIII secolo. Il collezionista incoraggia il contatto diretto con i volumi, orgoglioso di condividere le emozioni tattili che solo la carta antica sa trasmettere.

    Le pareti del palazzo documentano un’altra figura di rilievo nella storia familiare: Giovanni Iacovone, padre di Domenico e cattedratico di Istituzioni di Diritto e Processo Penale. Manifesti elettorali, corrispondenze ufficiali, fotografie d’epoca e pubblicazioni giuridiche ricostruiscono il profilo di un protagonista della vita politica regionale. Durante gli anni d’oro della Democrazia Cristiana, Giovanni Iacovone militò nella corrente morotea, distinguendosi come uno dei “cavalli di razza” del partito a livello regionale e ricoprendo con autorevolezza i ruoli di consigliere e assessore. La sua esistenza si concluse tragicamente ma coerentemente con la propria vocazione: nel 1986 un ictus fulminante lo colse in tribunale, mentre indossava la toga, consegnandolo alla storia come un giurista morto sul campo dell’onore professionale.

    Dal piano nobile, regno incontrastato della cultura “alta”, una scalinata scoscesa conduce negli ambienti sotterranei, dove si compie un autentico salto temporale nella civiltà materiale contadina. Gli spazi ipogei, plasmati dalla perizia dei maestri cavamonti attraverso un lavoro di scavo manuale che ha sfidato la durezza della roccia calcarea, custodiscono un frantoio oleario sotterraneo di eccezionale integrità conservativa. La scelta progettuale dell’ubicazione ipogea rispondeva a esigenze tecniche specifiche e irrinunciabili: garantire temperature costanti durante le fasi più delicate della lavorazione olearia, evitando che il freddo provocasse la solidificazione dell’olio durante la torchiatura della pasta di olive. Il riscaldamento degli ambienti veniva assicurato da un sistema integrato che sfruttava il calore prodotto dalle lanterne a olio, dai processi fermentativi della materia olearia e dalla presenza costante di uomini e animali.

    L’architettura produttiva si articola attorno alla molazza granitica, un monolite di 120 centimetri di diametro e diciassette quintali di peso che costituiva il cuore pulsante dell’intero meccanismo. L’energia motrice era fornita da un asino bendato, costretto a un moto circolare perpetuo attraverso un ingegnoso sistema di leve e tiranti. L’animale, relegato nella stalla adiacente quando non operativo, rappresentava la componente essenziale di una catena produttiva che trasformava le olive in oro liquido. Un torchio ligneo di proporzioni ciclopiche completava l’attrezzatura, consentendo la spremitura finale della pasta olearia attraverso l’applicazione di pressioni enormi.

    Domenico Iacovone, detto Mimì, rivela ogni segreto del processo produttivo, illustrando le diverse fasi della lavorazione e della conservazione dell’olio attraverso una gamma impressionante di utensili originali. Attrezzi in rame battuto e legno stagionato popolano le sale sotterranee, testimoniando l’ingegnosità e la sapienza tecnica delle maestranze locali. Tra questi manufatti emerge per importanza storica il caccavo, il caratteristico contenitore in rame dalla forma svasata che i contadini utilizzavano per la coagulazione del latte e la preparazione dei prodotti caseari. La diffusione capillare di questo strumento nel territorio aveva originariamente dato il nome al paese – Caccavone – denominazione che il consiglio comunale giudicò poco “eufonica” e che venne sostituita con l’attuale Poggio Sannita attraverso il regio decreto del 15 gennaio 1922.

    Gli ambienti ipogei, la cui datazione risale al XIII secolo, conservano dettagli architettonici di straordinario interesse documentario. Domenico attira l’attenzione su particolari che sfuggirebbero a un’osservazione superficiale, come la stura in pietra che si apre verso l’esterno, ingegnoso dispositivo che permetteva di attingere acqua per il lavaggio dei panni direttamente dagli ambienti sotterranei. Ogni elemento architettonico racconta una storia di adattamento alle necessità quotidiane, di soluzioni tecniche elaborate da generazioni di abitanti che hanno saputo piegare la pietra alle proprie esigenze.

    Palazzo Iacovone, i cui piani superiori sono stati sapientemente convertiti in una struttura agrituristica che rispetta l’integrità storica dell’edificio, si configura come un unicum assoluto nel panorama delle dimore storiche italiane. La stratificazione temporale che caratterizza questo complesso architettonico – dalla raffinata cultura umanistica del piano nobile alla concreta sapienza contadina degli ambienti ipogei – delinea un patrimonio di valore documentario eccezionale. Un luogo della memoria che meriterebbe una valorizzazione istituzionale più incisiva, considerata l’originalità delle testimonianze conservate e la complessità delle stratificazioni culturali che lo contraddistinguono. Qui storia, architettura e tradizioni popolari si fondono in una sintesi irripetibile, offrendo al visitatore un’esperienza che travalica i confini della semplice visita turistica per trasformarsi in un autentico viaggio nel tempo.

    I.M.

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