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  • Capracotta si prende la scena: dalle piste da sci al palco, la montagna da vivere tutto l’anno

    C’è un prima e un dopo Manu Chao, a Capracotta. Perché dalla sera del 14 agosto, questo borgo incastonato nell’Appennino molisano non è più soltanto una cartolina innevata da riscoprire con gli sci ai piedi. È diventato qualcosa di più: un palcoscenico vivo, vibrante, capace di ospitare un evento da cinquemila persone senza perdere un grammo della sua autenticità. Un luogo che, pur saldamente ancorato alla sua quota e alla sua identità, ha deciso di alzare l’asticella. E l’ha fatto nel modo più potente: con la musica. Non una musica qualunque, ma quella di Manu Chao, artista planetario che ha deciso di venire a Capracotta per lanciare un messaggio di festa e resistenza, tra le curve del Molise alto e gli orizzonti larghi di Monte Campo.

    Così, la serata al Fossato, spostata all’ultimo momento da Prato Gentile, poteva essere un rischio. Alla fine si è rivelata una rivelazione. L’anfiteatro naturale si è trasformato in una conchiglia sonora dove tutto ha funzionato: l’acustica, la logistica, la sicurezza, persino il meteo – con quel vento leggero che sembrava dirigere i cori. E in mezzo a tutto questo, un’organizzazione impeccabile. Una quattro giorni (13-14-15-16 agosto) da incorniciare e che il 30 e 31 agosto vedrà l’Arsura Off chiudere a Prato Gentile.  Insomma il Comune di Capracotta, insieme al team dell’Arsura Festival (in particolare Nicola Dell’Omo e Pierpaolo Sassani), ha costruito qualcosa che non assomiglia per nulla a un evento estemporaneo. Hanno scommesso su un’idea diversa di montagna: non solo fatica e ciaspole, ma anche sudore da ballo, palco, luci, incontri. Una visione.

    C’è voluto coraggio per pensare in grande in un contesto che spesso è raccontato come “marginale”. Ma qui non c’è niente di periferico: c’è invece un centro di gravità nuovo, un baricentro artistico e culturale che ha dimostrato di poter reggere la presenza di migliaia di persone senza stravolgere la sua anima. Chi ha partecipato all’evento non dimenticherà facilmente la voce ruvida e gentile di Manu che si arrampicava sulle montagne insieme ai cori, le sue parole sussurrate e urlate, il ritmo che attraversava la terra. Non c’erano filtri: solo un artista e una comunità temporanea che per oltre due ore ha respirato all’unisono. E non era solo una questione musicale. Era anche una dimostrazione concreta che un altro modello di attrattività è possibile: uno che non ha bisogno di grandi centri commerciali o di infrastrutture invasive, ma solo di idee chiare, identità forte e voglia di fare bene le cose. Il festival ha funzionato perché ha saputo integrarsi con il territorio, non calarlo dall’alto.

    Nessuna colonizzazione culturale, nessuna patina di finto glamour. Qui la star è arrivata a piedi, il pubblico si è seduto sull’erba, e il backstage profumava di legno e montagna, non di ego. L’evento non è stato un punto di arrivo, ma un inizio. Capracotta ha dimostrato di poter essere molto più di una meta invernale. Ha tutte le carte per diventare un laboratorio culturale a cielo aperto, un luogo dove la musica, il teatro, l’arte e la riflessione trovano spazio senza sovrascrivere ciò che c’è già. Dove la natura è parte della scena, non solo lo sfondo. La bellezza qui non è un’attrazione da consumare, ma un contesto da abitare. E se anche un’icona mondiale – accolta in maniera strepitosa da tutti – come Manu Chao ha deciso di far tappa proprio qui, forse è il momento di guardare Capracotta con occhi nuovi.

    Non come il paese “più alto del Molise”, ma come il più alto in visione.

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