Il vento d’autunno che scende dalle montagne dell’Alto Molise sembra portare con sé, ancora oggi, l’eco di un’amicizia straordinaria. Dieci anni fa, esattamente il 17 novembre 2015, si spegneva il dottor Enrico Marinelli, l’uomo che Papa Giovanni Paolo II chiamava affettuosamente “il mio Generale”. Oggi, nella data che ricorda la sua scomparsa, la comunità agnonese si raccoglierà alle 16 nella chiesa di Sant’Amico, nel cuore del centro storico, per una santa messa in suo onore.
Non è solo un atto di devozione religiosa, ma il tributo sentito di un’intera comunità verso chi ha saputo tessere un ponte indimenticabile tra Agnone, il Molise, e la maestosità della Città Eterna.

Nato ad Agnone nel 1932, Enrico Marinelli ha incarnato il perfetto equilibrio tra professionalità cristallina e profonda umanità. Entrato in Polizia nel 1956, dopo la laurea in legge, la sua carriera fu un crescendo di responsabilità sempre più delicate: dall’emergenza agraria nel Mezzogiorno agli anni di piombo del terrorismo, dal caso Moro alla sicurezza negli stadi. Ma fu nel 1985 che la vita gli riservò l’incarico che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza: la direzione dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano.
Per quindici anni, dal 1985 al 1999, Marinelli fu molto più che il responsabile della sicurezza di Karol Wojtyla. Tra i due nacque un legame che trascendeva il rapporto professionale. Il Papa polacco, nelle sue uscite segrete per scalare le vette del Terminillo o dell’Abruzzo, trovava in Marinelli non solo un angelo custode vigile, ma un compagno fedele che condivideva la sua passione per la montagna. “Amava la montagna ed era molto atletico: stargli dietro era davvero dura“, raccontava Marinelli con quella modestia che lo contraddistingueva.

Nelle sue escursioni in quota, Giovanni Paolo II si fermava a parlare con pastori e contadini, in quegli incontri autentici che rivelavano la sua anima più vera. E Marinelli era lì, discreto e presente, testimone silenzioso di un pontificato che avrebbe cambiato la storia.
Il 19 marzo 1995: quando il Papa venne in Alto Molise – È grazie a quella straordinaria amicizia che il 19 marzo 1995 si compì quello che molti agnonesi considerano ancora oggi un miracolo: l’arrivo di Giovanni Paolo II in Alto Molise. Fu la prima volta di un pontefice in queste terre aspre e generose, strette tra l’Appennino e il cielo.
Il Papa visitò la Pontificia Fonderia Marinelli, assistendo con profonda emozione alla fusione della campana della Pace che sarebbe poi stata donata all’Organizzazione delle Nazioni Unite. In quel gesto simbolico si condensava tutta l’essenza di un territorio fatto di fede, tradizione e sapienza artigiana. Wojtyla parlò agli agnonesi con parole che ancora risuonano: “Non arrendetevi di fronte ai gravi problemi del momento e non rinunciate a progettare il vostro futuro“.
Era più di un messaggio di speranza: era l’abbraccio di un padre ai suoi figli più piccoli, quelli che abitano le terre di confine, lontane dai riflettori ma vicine al cuore.

L’8 dicembre 1996: la Ndocciata illumina Piazza San Pietro – Ma se la visita del 1995 fu un dono straordinario, ciò che accadde l’8 dicembre del 1996 entrò nella leggenda. Grazie ancora una volta all’intercessione di Marinelli e alla sua amicizia con Wojtyla, la millenaria tradizione della Ndocciata agnonese venne portata in Piazza San Pietro per celebrare il cinquantesimo anniversario di sacerdozio del Papa.
Migliaia di ndocce – quelle gigantesche torce di abete bianco disposte a raggiera – accesero la notte romana davanti a circa 40.000 persone. Fu un fiume di fuoco che attraversò Via della Conciliazione per giungere fino alle finestre del Palazzo Apostolico. Giovanni Paolo II, commosso, si affacciò per benedire quello spettacolo ancestrale e pronunciò parole che restano scolpite nella memoria collettiva: “Grazie per questo magnifico spettacolo, grazie per questo Falò della Fratellanza. Le crepitanti fiaccole splendono nella notte, ricordando che Cristo è la vera Luce che rischiara le tenebre dal Mondo”.
In quel momento, Agnone e il Molise intero brillarono nel cuore della cristianità. E dietro quel miracolo c’era la silenziosa determinazione di Enrico Marinelli, che aveva saputo portare la sua terra sulle spalle, come i portatori di ndocce portano le loro torce infuocate.
Un’eredità che continua – Enrico Marinelli non fu solo un grande servitore dello Stato e della Chiesa. Fu anche un uomo profondamente radicato nella sua comunità. Consigliere comunale di Agnone, volle l’intitolazione di una piazza a Giovanni Paolo II e la creazione di un museo dedicato al “Papa venuto da lontano”. Il suo libro “Papa Wojtyla e il Generale“, pubblicato nel 2007 e tradotto anche in polacco, rimane una testimonianza preziosa di quell’amicizia unica.
Persino Papa Francesco, nel 2013, volle incontrare l’anziano prefetto, riconoscendo in lui non solo un custode fedele del suo predecessore, ma un uomo di fede autentica. In quell’occasione, Marinelli donò al pontefice argentino una piccola campana della Fonderia agnonese, perpetuando quel legame tra Agnone e il Vaticano che lui stesso aveva forgiato.
Oggi, mentre le campane di Marinelli suonano per chiamare i fedeli alla messa di commemorazione, Agnone si ferma. Non per guardare indietro con nostalgia, ma per onorare un uomo che ha saputo trasformare la fedeltà in grandezza, l’amicizia in storia.
A dieci anni dalla sua scomparsa, il dottor Enrico Marinelli continua a vivere nelle pietre della sua città, nel bronzo delle sue campane, nel crepitio delle ndocce che ogni dicembre tornano ad accendersi. E soprattutto vive nel cuore di chi ha capito che essere grandi non significa dimenticare le proprie radici, ma farle brillare fino a illuminare il mondo.
Nella chiesa di Sant’Amico, oggi, si pregherà per lui. Ma in un certo senso, sarà lui – come sempre – a vegliare su tutti noi, con quello sguardo discreto e profondo che aveva imparato camminando in montagna accanto a un santo.
La santa messa in memoria del prefetto Enrico Marinelli si terrà oggi – 17 novembre -, alle ore 16 nella chiesa di Sant’Amico, nel rione La Ripa.