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  • Fuoco e protesta: la notte in cui Agnone dice no ai tagli prospettati per l’ospedale di area disagiata (foto e video)

    Mille torce accese hanno squarciato la notte di Agnone, trasformando la Grande Ndocciata in un rito collettivo di luce, identità e resistenza. Quest’anno più che mai, il fuoco ancestrale delle ndocce ha assunto il valore di un messaggio chiaro e condiviso: difendere il futuro dell’ospedale cittadino e, con esso, il diritto alla salute delle popolazioni dell’Alto Molise e delle aree di confine con l’Abruzzo, minacciate da un paventato ridimensionamento dei servizi sanitari.

    Circa 20 mila persone, secondo gli organizzatori, arrivate da ogni parte d’Italia a bordo di 55 pullman, migliaia di auto e altri mezzi, hanno assistito a uno degli eventi più suggestivi d’Europa, simbolo di una comunità che non intende arretrare. La bellezza arcaica della Ndocciata, rito che intreccia fede, fuoco e appartenenza, ha scaldato cuori ed emozioni, diventando rappresentazione plastica di una battaglia civile. «Celebriamo un rito antico, oggi più che mai carico di simboli e significati profondi», ha sottolineato il sindaco Daniele Saia.

    «Il fuoco è memoria, è comunità, è continuità. È la luce che nelle aree interne ha sempre rappresentato riparo, speranza e futuro». Al rintocco del campanone di Sant’Antonio, alle 18 in punto, è partito il lungo corteo di fiamme. Protagonisti assoluti i portatori delle cinque contrade, avvolti nei tradizionali mantelli di lana. Su di essi, un fiocco bianco fissato con un cerotto: un simbolo silenzioso ma potente, scelto per denunciare i tagli annunciati dai commissari alla Sanità regionale e le decisioni che si giocano sui tavoli romani.

    Ad aprire la sfilata, uno striscione esplicito: “Che il fuoco delle ndocce riaccenda le coscienze ed illumini le menti a tutela del nostro diritto alla salute!”. Accanto, a testimoniare la concretezza della protesta, un medico del Pronto soccorso e un’infermiera dell’ospedale Caracciolo. Sul palco delle autorità, amministratori locali, assessori e consiglieri regionali, sindaci del territorio. Ai lati del corso principale una folla compatta, partecipe, spesso visibilmente commossa al passaggio delle grandi fiaccole di abete. «Questa sera Agnone è straripante di persone», ha osservato Saia.

    «Ma quando le ndocce si spengono e la folla si dirada, c’è chi il giorno dopo continua ad alzare la saracinesca, ad accompagnare i figli a scuola, a preparare il pranzo della domenica. A queste persone voglio dire grazie. Perché non è facile scegliere di restare quando tutt’intorno vengono tagliati servizi essenziali e opportunità». Un passaggio che introduce il nodo centrale della serata: la sanità. Il primo cittadino è stato netto: «Lo dico con parole chiare e semplici: l’ospedale di Agnone non può essere riconvertito. Perché in gioco c’è la vita delle persone che abitano questi territori».

    Un richiamo rafforzato dalle parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, più volte citato, sul valore delle aree montane e sulla responsabilità delle istituzioni nel garantire servizi essenziali, a partire dalla salute. «Il fiocco bianco con il cerotto è il segno di una ferita», ha aggiunto Saia, «ma anche di una ferita che si vuole curare. È il simbolo di una comunità che soffre, ma che non si arrende e non accetta decisioni calate dall’alto».

    A chiudere il corteo, tra applausi scroscianti, Alessio Marcovecchio con sulle spalle una ndoccia da 28 elementi: un’immagine potente, quasi rituale, che sintetizza il senso della serata. «Agnone è una fiamma che dura», ha concluso il sindaco. «Non chiede clamore, chiede spazio per continuare a vivere. E finché qualcuno sarà disposto a custodirla, questa fiamma non si spegnerà». Viva Agnone. Viva la Ndocciata.

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