CAMPOBASSO – «La ricorrenza del 4 novembre assume quest’anno un significato particolare, perché esattamente cent’anni fa, il 4 novembre 1918, entrava in vigore l’armistizio che i generali dell’Impero austro-ungarico avevano firmato il giorno prima con lo Stato maggiore del Regio Esercito Italiano a Villa Giusti, nei pressi di Padova.
Già il 3 novembre, però, lo stesso giorno della resa austro-ungarica, le truppe italiane avevano fatto il loro ingresso a Trento, mentre le navi della Regia Marina avevano attraccato nel porto di Trieste. Il tricolore italiano sventolava a San Giusto e sul Buonconsiglio. “Trieste e Trento redente”, titolavano i giornali dell’epoca.
Finiva la Grande Guerra, quella che gli storici hanno definito “mondiale” ma che, a mio avviso, noi italiani dovremmo definire “Quarta guerra d’indipendenza”, perché con la conclusione di questo evento bellico si portò a compimento quel processo storico che, partito nel 1848 e attraverso varie fasi politiche e militari, consentì di raggiungere l’unità d’Italia.
Non è un dettaglio di poco conto, perché ritengo che questa sia la sola chiave di lettura che oggi, noi cittadini di una Repubblica che ripudia la guerra, dobbiamo dare ad un conflitto che richiese un tributo elevatissimo di sangue in nome dell’irredentismo, della liberazione di quei territori italiani che mancavano all’appello dell’Italia unita, perché se cosi non fosse dovremmo dedurre che il sacrificio di centinaia di migliaia di vite sia stato vano.
Anche il Molise fece la sua parte, con dignità e coraggio, offrendo alla Patria i suoi figli, molti dei quali protagonisti di atti eroici. A loro sono intitolate strade, scuole, istituzioni, affinché dei loro nomi, di quello che hanno compiuto si abbia imperitura memoria.
Ma la storia non è sempre democratica e obiettiva, molte volte è distratta e superficiale. Nelle sue pagine meno note, ci sono le vicende di tantissimi molisani, alcuni nemmeno diciottenni, che risposero alla chiamata alle armi per difendere il “patrio suolo”. Erano contadini, illetterati, vivevano in un Molise prevalentemente rurale, lasciarono le loro misere dimore, i loro campi, i loro armenti. Passarono dall’aratro alla baionetta senza addestramento e si ritrovarono in una trincea senza rendersene conto. Non si erano mai mossi dai loro paesi e la tradotta che li trasportava era un’occasione unica per vedere un’Italia diversa dal Molise.
Fecero il loro dovere, fino in fondo.
Ecco, io penso che il nostro deferente pensiero debba essere rivolto anche a costoro, ai dimenticati dalla storia. Se abbiamo un’Italia unita, lo dobbiamo anche al loro sacrificio.
Unità nazionale e Forze armate. Non è un caso se le due celebrazioni siano state unite in un’unica giornata: Forze armate che cento anni fa consentirono il completamento dell’unità nazionale, Forze armate che oggi presidiano la democrazia.
Forze innanzitutto di pace, che rendono lustro e onore all’Italia nelle diverse parti del mondo dove svolgono le loro missioni. Forze di pace che hanno visto e vedono impegnati molti militari molisani, alcuni dei quali hanno pagato con la vita l’adempimento del loro dovere. Sono gli eroi di un passato recente: il tenente Giulio Ruzzi, morto in Somalia il 6 febbraio 1994, il caporale maggiore scelto, Alessandro De Lisio, che il 14 luglio 2009 ha perso la vita nel corso di un’operazione in Afghanistan.
Un report di qualche anno fa sulle operazioni delle Forze armate impegnate in missioni di pace evidenziava come gli italiani fossero al primo posto nel gradimento delle popolazioni di quei Paesi dove svolgevano la loro attività: penso sia l’augurio più gratificante che si possa fare alle Forze armate nel giorno della loro festa».
Donato Toma