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  • Agnone, la famiglia, il Molise, la letteratura: intervista a Chiara Gamberale. A maggio torna a casa con il festival ‘Fuoco al centro’

    A maggio (2-3-4, ndr), Agnone si prepara ad accogliere una tre giorni speciale, un festival letterario che nasce dall’amore profondo di Chiara Gamberale per la sua terra d’origine. Il belvedere di San Marco sarà il cuore pulsante di questo evento, un luogo in cui storie, idee e creatività si intrecceranno con il panorama mozzafiato dell’alto Molise. Per Chiara, questo non è solo un ritorno fisico, ma un viaggio sentimentale e identitario. Agnone è la radice, il grembo paterno, il punto da cui tutto è iniziato. E ora, con questo festival, vuole restituire al suo paese ciò che le ha donato: una comunità viva, capace di riconoscere il proprio valore e di festeggiare la bellezza della cultura. Da un sogno coltivato nel tempo alla sua realizzazione, in questa intervista ci racconta il significato di questo ritorno e di un progetto che promette di lasciare il segno.

    Chiara Gamberale, a maggio torni a casa. Possiamo dirlo?
    “Sì, a maggio tornerò a casa, ma non è solo tornare a casa fisicamente, è tornare a un luogo che ha sempre avuto un posto nel mio cuore. Agnone, la mia terra di origine, il mio grembo paterno, è sempre stata la radice di tutto ciò che sono. Non è solo un ritorno in un luogo, ma anche un ritorno a tutto ciò che mi ha formato.”

    Che significato ha per te Agnone?
    “Agnone è roccaforte del sud che più sento caro, un sud che ha a che fare con le persone, un meridione non sfacciato, uguale solo a se stesso: non ha l’incanto ma neanche le lusinghe bugiarde del mare e così è il carattere delle persone di questi luoghi. È un territorio di cui ci si innamora proprio come ci si innamora delle donne e degli uomini sfuggenti, perché magari non ti viene incontro ma è accogliente quando tu vai verso di lui: esattamente come i suoi abitanti.”

    A Roma, durante la presentazione per la Capitale della Cultura, avevi annunciato: “Organizzerò un festival di letteratura ad Agnone”. Ora quel momento è arrivato. Ce ne parli?
    “Sì, quel momento è arrivato e mi sembra quasi surreale, perché è un sogno che ho coltivato per molto tempo. Il festival di letteratura ad Agnone è qualcosa che volevo da sempre, perché questo luogo merita di essere raccontato, di essere visto per la sua bellezza, la sua cultura e la sua gente. Non è solo un evento, è un’opportunità per celebrare una comunità, per mostrare a tutti che anche i luoghi più lontani dalle luci della ribalta hanno una voce forte e importante. Quello che mi ha trasmesso mio padre e che spero di trasmettere a mia figlia è capire cosa vuoi per te nella vita e far sì che sia anche qualcosa poi che aiuti un collettività: per questo sentivo che c’era bisogno di un festival, perché a volte purtroppo ci diamo la zappa sui piedi noi molisani, non capiamo il nostro valore, siamo più bravi col dovere che col piacere, e quindi che questa sia pure una festa perché si impari anche a godere. E a questa festa ho voluto portare CreaVità, la mia scuola di scritture creative, nata subito dopo il covid da me e da Mattia Zecca con l’intento aiutare gli adolescenti, i più colpiti dal lock down, a ritrovare il contatto con sé e con gli altri attraverso la letteratura, l’arte, l’improvvisazione artistica e la musica. Di adolescenti ne abbiamo visti pochi, di adulti dai 30 ai 70 anni tantissimi, e così nel tempo è diventata “per adolescenti di tutte le età” e oltre ad un percorso annuale ci sono anche dei week end immersivi insieme a me per tutti quelli che vogliono partecipare ma non vivono a Roma. Ecco: mi sembrava proprio giusto portare anche CreaVità nel mio grembo paterno, giusto e bello.”

    Torniamo per un momento alla proclamazione dell’anno scorso: L’Aquila meritava di diventare Capitale della cultura, oppure, a tuo avviso, c’è stata qualche ingerenza di natura politica? A detta di molti, sindaco di Rimini in primis, il dossier di Agnone sembrava essere il più accreditato.
    “È difficile dire cosa sarebbe successo se fosse andata diversamente. L’Aquila ha una storia forte e meravigliosa, e anche terribile negli ultimi anni, ma non posso negare che Agnone avrebbe meritato un’opportunità del genere. Non credo che ci sia stata una vera ingerenza politica, ma è certo che Agnone, con il suo dossier, ha dimostrato di avere una proposta solida e un potenziale enorme. La politica è sempre presente in questi processi, ma ciò che è stato fondamentale per me era il cuore del progetto, l’autenticità di quello che stavamo cercando di fare”.

    Il sogno non si è realizzato, ma questa esperienza ha permesso di far conoscere Agnone e il Molise al resto d’Italia. Che eredità lascia questa avventura?
    “L’eredità è quella di aver messo Agnone sotto i riflettori, di averne parlato, di aver fatto conoscere la sua gente, la sua cultura, la sua storia. Forse il sogno di diventare Capitale della Cultura non si è realizzato, ma ciò che resta è un movimento di consapevolezza. Ora il mondo sa che Agnone è un posto che merita attenzione, e questo è già un grande traguardo.”

    Parliamo del festival di maggio: ‘Fuoco al centro’. Come si svolgerà l’evento e cosa pensi possa lasciare nel tempo? Hai altri progetti simili da concretizzare in futuro?
    “’Fuoco al centro’ sarà un’esperienza densa ma anche una festa, un momento di condivisione, di riflessione, di creatività. Ci saranno incontri letterari con me e altri autori luminosissimi, laboratori per bambini, e soprattutto un’occasione per parlare di cultura, di tradizioni e di innovazione. Quello che spero di lasciare è la consapevolezza che la cultura non è solo qualcosa da consumare, ma qualcosa da vivere, da sentire, da frequentare. E sì, proprio a giugno ci sarà un altro festival letterario a Procida che di questo nostro è un po’ il fratello maggiore: Procida Racconta, 4 giorni in cui sei autori devono perdersi nell’isola alla ricerca di un suo abitante, un personaggio di cui innamorarsi tanto da farlo diventare il protagonista di un racconto che l’ultima sera verrà letto davanti a tutta l’isola: immaginate l’emozione.”

    C’è qualcuno in particolare che vorresti partecipasse alla tre giorni?
    “Per questa prima edizione ci saranno alcuni nomi fra i più brillanti del nostro panorama, che subito hanno detto sì con lo slancio e l’entusiasmo che li fa essere tanto cari al mio cuore: Massimo Gramellini, Simona Sparaco, Giovanni Petta che è un molisano d’eccellenza, Teresa Ciabatti, Antonio Pascale ed Emanuele Trevi, oltre a Erica Mou che ci incanterà con un suo concerto gratuito (all’Italo Argentino, ndr) sabato sera. Ma ciò che conta davvero è la partecipazione della comunità di Agnone: voglio che i suoi abitanti siano al centro dell’evento, che si sentano protagonisti”.

    Scrittrice, conduttrice radiofonica e televisiva, autrice, e soprattutto mamma. Una vita a 360 all’ora. Come si fa a gestire tutto a questa velocità?
    “Non è facile, te lo posso assicurare. Ma credo che si tratti di imparare a fare scelte, ed è mia figlia Vita ad avere la priorità su tutto. Ogni giorno, in qualche modo, mi trovo a dover scegliere cosa è più urgente, cosa merita più attenzione e ciò che può ricaricare che quell’energia sempre sul limite. Cerco di mantenere un equilibrio, e a volte significa rallentare, e fermarsi un po’.”


    Hai ancora il vecchio Nokia? E perché in Italia la carta stampata – tra libri e giornali – soffre così tanto rispetto ad altri Paesi europei?
    “Sì, ho ancora il vecchio Nokia! È un po’ una mia resistenza alla tecnologia, un modo per non farmi travolgere troppo dal mondo digitale e dalle sue continue distrazioni. Ho dovuto cedere all’acquisto di uno smartphone però, per le temibilissime chat di classe per mia figlia, perché pare che senza si venga tagliati fuori dal mondo. Per quanto riguarda la carta stampata, forse in Italia c’è una certa difficoltà a rinnovarsi, a comprendere davvero l’evoluzione dei tempi. La carta stampata soffre perché non riesce a stare al passo con le esigenze di un pubblico sempre più veloce e abituato a fruire di contenuti in modo diverso. Ma non è tutto perduto, è una fase di transizione, e credo che ci siano ancora molte cose da fare per dare nuova vita alla carta”.

    Da una ‘Vita sottile’ a il ‘Grembo paterno’, due capolavori. Con tre aggettivi ci spieghi chi è l’ingegnere (Vito Alfonso Gamberale), tuo padre, da queste parti conosciutissimo.
    “Tre aggettivi… direi lavoratore, ambizioso e molisano. Lavoratore per l’amore di fare le cose bene e non tanto per il risultato, ma pensando a cosa possiamo fare noi per migliorare una situazione, è questo che mi ha trasmesso, per questo è sempre stato il mio faro, il mio mito. Ambizioso nel senso più puro di questa parola, nato e cresciuto in un paesino in una situazione di miseria, ha avuto l’intuizione e la volontà di migliorare la propria condizione trovando il suo modo, e io non potevo che fare qualcosa di totalmente diverso da lui, avendo lo stesso carattere, proprio per sentire anch’io di fare il mio percorso, di dare voce a questa voglia di conquistare, di trovare la mia di strada. Molisano perché mio padre porta con sé il Molise e mi ha trasmesso questo essere meridionale senza farlo apposta che hanno i molisani, quel calore che hanno dentro e che non mostrano in modo sfacciato”.

    Maurizio d’Ottavio

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