«Non c’è nulla di più ingiusto quanto fare parti eguali tra diseguali». La frase, storica, è di don Lorenzo Milani e potrebbe essere la sintesi del pensiero dei vescovi relativo alla situazione delle aree interne. Perché Sant’Angelo del Pesco, Capracotta o Castelverrino, non possono essere trattati dalle istituzioni alla stessa stregua di Isernia, Venafro o Termoli, lo capirebbe chiunque. Necessitano, probabilmente, di una fiscalità di vantaggio, come va ripetendo da anni, inascoltato, il sindaco che sta più in alto di tutti, Candido Paglione, ma soprattutto di servizi efficienti che non debbano temere lo spauracchio della logica perversa dei numeri. Questioni da contabili, non da amministratori. L’ospedale di Agnone, che almeno sulla carta è stato riconosciuto come presidio sanitario di area particolarmente disagiata, non può sottostare alla mera logica dei numeri. Perché altrimenti andrebbe chiuso oggi stesso, anzi ieri. Un un servizio pubblico, per definizione, è in perdita, è anti-economico, ma va comunque assicurato, perché la costituzione di questa sgangherata repubblica sancisce solennemente che un abitante di Belmonte del Sannio, ad esempio, ha lo stesso identico diritto alle cure sanitaria di chi vive a Campobasso o a Termoli, ma anche a Pescara o Milano.
Proprio su questi temi, nei giorni scorsi, un vescovo di periferia, monsignor Accrocca, ha lanciato una provocazione: «Molte cose potrebbero cambiare se il criterio del numero della popolazione non fosse l’unico in base al quale assegnare le risorse; in base a tale criterio, infatti, le aree interne, povere di popolazione, finiscono per essere povere di risorse, anche se debbono molte volte provvedere a territori vasti, spesso montani, dove le comunicazioni sono rese, dal territorio stesso, più difficili e più dispendiose». Ed è stata una due giorni intensa quella vissuta dai vescovi delle aree interne, che si sono riuniti a Benevento su iniziativa dell’arcivescovo del capoluogo sannitico monsignor Felice Accrocca.
A conclusione dei lavori, i presuli hanno scritto un messaggio, rivolgendosi alle autorità civili e politiche: «Alle istituzioni nazionali, regionali e locali, alla vigilia dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, – scrivono i vescovi – chiediamo di disegnare un nuovo modello di sviluppo, equo e condiviso, in cui le aree interne possono diventare concretamente “il polmone del Paese”, offrendo risorse e disponibilità a costruire intorno alle loro potenzialità di carattere naturale, paesaggistico, storico, religioso e culturale una vera prospettiva di riscatto. Le risorse finanziarie contribuiscano alla realizzazione di opere fondamentali, facendo in modo che partano dalle zone più remote e raggiungano il centro; che la diligenza dei fondi europei in arrivo non venga assaltata scompostamente, ma possa arrivare a destinazione con una distribuzione equa e trasparente; che la cultura delle competenze prevalga sulla prassi del ricatto elettorale e del clientelismo; che la tutela dell’ambiente, spesso lasciato a se stesso nelle aree meno antropizzate, contribuisca a ridurre i rischi di calamità naturali e a produrre uno sviluppo sostenibile». «Perché – come ha evidenziato il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo – non si può immaginare una duratura ed equilibrata ripresa del Paese se oltre 13 milioni di abitanti si ritrovano in una condizione di marginalità territoriale che talvolta incide sullo stesso godimento dei diritti di cittadinanza». «Ancora una volta appare in tutta chiarezza che il Paese non crescerà se non insieme», ha chiuso monsignor Russo.