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  • Eutanasia legale, don Martino ai Giovani Dem: “Basterà un referendum?”

    Carissimi, ho seguito con molta attenzione tutte le vostre iniziative, non ultima quella sul referendum sull’abrogazione dei commi del codice penale che sanciscono come reato il suicidio assistito. Non è mia intenzione assolutamente fare con voi discussioni ideologiche, che dati i pregiudizi esistenti, porteranno unicamente ad un muro contro muro preconcetto, ma nell’attesa di avere con voi tutti, serenamente, tra di noi, un incontro per parlare dei temi sensibili confrontandoci sulla sostanza, vorrei fornire voi alcuni spunti di riflessione da considerare.

    Nel sostenere l’adesione al referendum, voi parlate di questa come di scelta di libertà: “Chiediamo di poter decidere liberamente, ciascuno sul proprio corpo, secondo il principio di autodeterminazione individuale, cioè la possibilità di assumere, in libertà e responsabilità le scelte più intime che riguardano il nostro corpo e la nostra salute. Nel diritto a vivere deve essere contemplato il diritto a morire”.

    In sostanza, carissimi, voi ponete come fondamento dell’essere uomo la libertà e l’autodeterminazione come principi costituiti del suo essere, e può anche andare bene, sia riguardo all’aborto, all’eutanasia, alla pillola del giorno dopo, ecc. ecc.

    Leggevo, alcuni anni fa, un saggio di Habermans, che affermava come valore assoluto dell’essere uomo appunto la libertà, alla base di ogni scelta umana. L’autore analizzava il problema in tutti i suoi aspetti, ma di colpo si trovava di fronte ad un grave dilemma: che cosa succede quando vi è un conflitto tra due o più libertà? Ognuno ha diritto all’autodeterminazione, ma affermare questo principio un giorno può disgregare la società. Chi stabilisce quale è la libertà giusta o sbagliata? Se tutti hanno diritto alla libertà, posso negare ad un pedofilo i suoi diritti? O posso negare ad un cittadino o gruppi di cittadini di trasgredire le leggi dello stato se nella loro libertà le rifiutano? Habermans risolveva molto deludentemente la questione: doveva essere lo Stato a regolamentare e garantire le libertà di tutti per non farle entrare in conflitto, stabilendo un “minimo comune denominatore”. Di fatto, un nuovo modello di Stato Etico, che deve impedire la disgregazione della società, e che quindi di fatto restringe la libertà a libertà relativa.

    Purtroppo, amici miei, questo esempio, laicissimo, lascia intendere che la libertà e l’autodeterminazione non posono essere prese come valori assoluti per affermare i principi, ma ognuno di noi deve porsi il problema del conflitto tra le varie libertà e come risolverlo. Ma questo ci porta a dover definire, per forza, il valore che sta alla base della libertà: e cioè che cosa intendiamo per Uomo, per Umanità, per Umano e di conseguenza che cosa è per noi il Non Uomo, il non Umano, il non Umanità. E’ qui che dobbiamo trovare la prima sintesi dei valori, per poi poter declinare la libertà e i suoi limiti reali.

    Non possiamo ridurre semplicemente l’umanità e l’essere uomo all’autocoscienza e all’autodeterminazione: o al biologo o al culturale,  alla legge o alla prassi. Bisogna considerare tutto, tutto l’insieme.

    Ovviamente, anche la vita umana non può essere intesa come un assoluto, ma un valore relativo, che esiste perché c’è l’Uomo. Quando l’Uomo non c’è più, non esiste nemmeno la vita. Ma possiamo noi stabilire quando un Uomo è dal momento che un Uomo non è? Se ci riferiamo all’autocoscienza, allora anche un bambino, fino all’età della ragione, non è un uomo; se ci riferiamo all’autodeterminazione, un disabile è una vita di serie B perché non può pienamente autodeterminarsi; di conseguenza un malato in coma non è un uomo, quindi non esiste.  Cosa significa umanamente vivere una vita che valga la pena di essere vissuta? Cosa significa umanamente qualità della vita? Se vi avventurate in questi discorsi non troverete mai una definizione assoluta di qualità della vita oggettivamente valida per tutti, ma soltanto definizioni relative di qualità della vita in base alle situazioni, di per se tutte accettabili e valide. Tuttavia, il vero problema sarà definire quando l’uomo esiste fin quando l’uomo non è. E’ questa la prima risposta da dare.

    Noi cristiani antiquati diamo questa risposta: per noi un uomo è nel momento in cui i gameti si uniscono, non è più nel momento della morte cerebrale. Quindi, va tutelato in condizione di fragilità fino all’autodeterminazione, va fatto morire senza accanimento terapeutico quando l’exitus è chiaro e sicuro, ma va accompagnato fino alla fine, per quella che per noi è “l’altra sponda”.

    Allora, il problema, per noi antiquati, si fa molto più difficile, perché in ogni questione non basta fare battaglie di principio, affermare dogmi, o risolvere sbrigativamente la questione abrogando quattro commi di una legge, o vietando agli altri l’aborto o la pillola del giorno dopo, limitarsi ad obiezioni di coscienza e simili, ma lasciando le persone nel dramma, bensì proprio impegnarsi ad aiutare le persone a superare il dramma, aiutare le persone ad essere autenticamente Uomini, Donne, Umanità.

    Depenalizzare il suicidio assistito non è il vero problema, il vero problema è capire ed aiutare realmente le persone che lo chiedono: ci sono coloro che limitati fisicamente pensano che la loro vita sia finita, coloro che si sentono abbandonati, soli, che non vogliono pesare sulle famiglie, perché i modelli sociali sono quelli della famiglia felice, ricca, che può permettersi tutto. Quindi, abrogare quattro commi di una legge non basta. Se vi troverete di fronte a questi problemi, ricordatevi di non lasciare nessuno da solo, ma fatevi vicino, ascoltate, capite, confortate, sostenete, aiutate per quanto possibile. Molte richieste sono gridi di disperazione, che, se ascoltate, danno la forza per continuare a vivere e farsi accompagnare all’altra sponda.

    La pillola del giorno dopo non basta a risolvere il problema: il vero problema è l’aver ridotto e banalizzato il sesso a bene di consumo, a divertimento senza responsabilità, che viene risolto con un atto commerciale, chimico, che, se ripetuto, ha conseguenze sulla salute. Il vero problema si chiama educazione alla sessualità consapevole, all’affettività e alla responsabilità, purtroppo, e a vivere il sesso con maturità interiore, uscendo dalla cultura del divertimento e del gioco, e riconducendolo sotto il sole radioso dell’amore. Non si può interiormente pensare di non vivere la propria vita sballandosi e prendendo tutto come gioco, come tu dai una cosa a me e io do una cosa a te come merce di scambio, cosa che, come ho visto, distrugge interiormente le persone e poi non ci sono psicologi o psichiatri che possono raddrizzare le cose.

    Ma occorre prima di tutto anche qui non lasciare mai sola la persona che vuole abortire: prima che decida bisogna farsi prossimi, ascoltarla, esplorare i motivi, le possibilità, se c’è lo spiraglio di risolvere i suoi problemi, se volesse dare in adozione il nato dopo la nascita per dargli una possibilità (ci sono molte coppie che soffrono non avendo la possibilità di adottare un figlio), come può essere sostenuta. Da giovane seminarista a Roma, ad esempio, ho frequentato una Casa della Caritas per Ragazze Madri: questo è significato dare loro l’opportunità rispetto al rimedio sbrigativo. Non è questione di colpevolezza o non colpevolezza: è questione di farsi prossimi e stare vicino, risolvendo i problemi concreti. Poi, se vorrà decidere per l’aborto deciderà. Ma occorre dare l’opportunità. Non significa fare crociate da nessuna parte.

    C’è una cultura oggi imperante per cui basta affermare i principi con le leggi e tutto sta bene: no, non sta bene niente, perché allora i principi diventano dogmi, imposizioni. Come, allo stesso, soluzione umana non può essere il rimedio tecnico, sbrigativo, commerciale, facendo di tutto un business, un divertimento senza responsabilità, lasciando sola la persona e con le sue macerie. Bisogna risolvere i problemi concreti di chi vuole il suicidio assistito, di chi richiede la pillola del giorno dopo, di chi vuole abortire. Nel massimo rispetto di tutti. Non basta dire al contadino che deve coltivare la terra, bisogna dargli il trattore. Senza colpevolizzare né stigmatizzare, ma facendosi prossimi. Questa è la vera strada dei “cristiani antiquati”

    Carissimi giovani, mi auguro che queste mie riflessioni vi abbiano fatto pensare un po’. Mi auguro che se un vostro amico, una vostra amica dovessero affrontarle, siate capaci di tentare questo per loro, prima di rispettare le loro decisioni. La vera strada è quella dell’Amore, dell’Empatia e farsi prossimi.

                                                                                                 Don Francesco Martino                                                                                                              

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