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  • «La braccata andrebbe proibita immediatamente»: gli animalisti tornano all’attacco, ma non sanno contare

    «Ancora decine di vittime umane, milioni di animali uccisi e la solita aggressione al patrimonio naturale, che è di tutti: il prezzo da pagare per il lassismo sulla caccia è diventato semplicemente inaccettabile. Le autorità prendano atto della volontà della stragrande maggioranza degli italiani e pongano finalmente serie limitazioni alla caccia, in attesa di abolirla del tutto». Lo afferma l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente, commentando i dati dell’Associazione Vittime della Caccia che ha diffuso il rapporto finale sulla stagione 2019-2020. Nei giorni scorsi l’Università di Urbino ha invece dimostrato, conti alla mano, che gli incidenti a caccia sono diminuiti.

    In tutto, nel solo ambito venatorio, sono state ben 76 le vittime, di cui 20 morti e 48 feriti cacciatori, oltre a 8 feriti non cacciatori. «Dati che vedono una crescita rispetto all’ultima stagione (2018-2019) quando il totale in ambito venatorio si fermava a 63 vittime, di cui 13 morti e 50 feriti (due minori). La stagione venatoria – prosegue l’on. Brambilla – si è chiusa con il consueto tributo di sangue. Il numero delle vittime umane, variabile per fattori puramente casuali, è la salda, incrollabile dimostrazione della pericolosità di un’attività (anacronistica, ma ancora lecita) che comporta l’uso delle armi e quindi richiede restrizioni molto più severe, finché, finalmente, non sarà vietata. Il primato della pericolosità va alla caccia del cinghiale “in braccata”, all’origine delle maggior parte degli incidenti, che andrebbe proibita immediatamente. Perché la strage non si ripeta nella stagione 2020-2021 – prosegue l’on. Brambilla – chiedo inoltre al Parlamento di esaminare con urgenza le proposte di legge che ho depositato in questa legislatura. La prima riguarda il divieto di cacciare il sabato e la domenica, per tutelare chi nei boschi e nelle campagne va per godersi la natura e non per distruggerla. Serve inoltre raddoppiare le distanze di sicurezza da possibili bersagli come case, strade, ferrovie, mezzi agricoli o animali domestici che oggi variano secondo i casi da 50 a 150 metri. Vanno inoltre irrigidite le procedure e i controlli per le licenze a uso sportivo o venatorio che oggi valgono cinque anni e il certificato medico di idoneità è necessario solo al momento del rinnovo. Troppo poco, soprattutto perché la maggior parte dei cacciatori ha un’età compresa tra 65 e 78 anni: sulla loro perizia nell’uso delle armi è lecito più di qualche dubbio. Infine serve l’istituzione dell’omicidio venatorio: chi spara nelle campagne e nei boschi e colpisce una persona dev’essere punito più severamente di chi commette un “normale” omicidio colposo, proprio perché il cacciatore maneggia legittimamente un’arma letale. La pena dovrebbe essere commisurata a quella dell’omicidio stradale che prevede da due e sette anni di reclusione».

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