All’alba, mentre la notte indugiava ancora tra i vicoli di Agnone e il silenzio sembrava custodire antichi segreti, un fiume di persone ha attraversato il centro storico per raggiungere la chiesa di San Francesco. Da poco era scoccata l’ora in cui la città respira piano, quella delle sei, eppure il tempio era già colmo fino all’ultima panca: un popolo in cammino, attratto come ogni anno dal richiamo del Piccolo Natale, il rito che segna l’inizio spirituale del tempo delle feste nell’Alto Molise.
Lì, davanti all’altare, monsignor Camillo Cibotti, vescovo di Trivento, ha presieduto la celebrazione, affiancato dai sacerdoti della forania. Le sue parole, intense e cariche di significato, hanno attraversato la navata come un balsamo: un invito alla speranza, un richiamo alla presenza discreta ma potente della Madonna delle Grazie, guida e protettrice degli agnonesi da secoli.

E poi la musica, quella stessa musica che ogni anno sembra provenire da un tempo sospeso. Le note della Pastorale, o Pasturella come la chiamano gli agnonesi, la dolce melodia composta da Filippo Gamberale, hanno accompagnato la liturgia con la delicatezza di un canto antico, capace di far vibrare insieme memoria e devozione. Persone di ogni età – anche tanti giovani – hanno ascoltato raccolte, come se quelle note raccontassero una storia che appartiene a ciascuno di loro.
Perché il 21 novembre, ad Agnone, non è una data qualsiasi. È un’eredità, un ponte di tradizioni che arriva da lontano. Un tempo gli artigiani del rame, orgoglio e identità del paese, in questo giorno lasciavano le montagne del Molise per raggiungere le Puglie, dove avrebbero venduto le loro opere durante l’inverno. Sapendo di non poter rientrare in tempo per il Natale, si concedevano una celebrazione anticipata, un “Natale prematuro” carico di nostalgia e speranza. Da qui il nome: Piccolo Natale. Da qui il legame viscerale con la Madonna delle Grazie, a cui affidavano il viaggio e il destino.

Terminata la messa, la magia si è trasferita tra i vicoli. Uno dopo l’altro, come in una coreografia tramandata da generazioni, molti portoni del centro storico si sono spalancati: famiglie pronte ad accogliere, a offrire cioccolata calda fumante e raffaiuoli, i tipici dolci della tradizione. Gesti semplici, ma colmi di un calore che solo le usanze più autentiche sanno conservare.