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  • Monsignor Santucci:«Regione Molise metta la testa a posto, così facendo uccide le aree interne»

    A distanza di sette anni (era il 2007, ndr) riproponiamo un’intervista a quattro mani firmata da Maurizio d’Ottavio  e Francesco Bottone a sua Eccellenza, Antonio Santucci, vescovo emerito della diocesi di Trivento. Un dialogo a 360 gradi sui problemi dell’epoca che minavano la sopravvivenza delle aree interne. Oggi quelle parole sono di un’attualità disarmante. 

    E’ andato via circa tre anni fa quando passò il testimone nelle mani di Sua Eccellenza Domenico Angelo Scotti, ma il Molise, la Diocesi di Trivento, le aree interne del Vastese gli sono rimaste nel cuore. Impossibile cancellare vent’anni (1985-2005) di mandato. Oggi monsignor Antonio Santucci (nella foto), vescovo emerito di Trivento vive a San Giovanni Rotondo (Foggia), ma ascoltandolo attentamente appare essere sempre lo stesso. E chi ha avuto il piacere di conoscerlo direbbe l’identica cosa. Ha conservato intatti i crismi di un soldato di Cristo che si batte con fermezza, con dedizione, per i più deboli, per i più emarginati, per un territorio che sta vivendo una lenta ma inesorabile agonia. Spirito sanguigno e combattivo, Santucci in passato quando si è trovato di fronte a delle ingiustizie sociali non ha mai avuto peli sulla lingua. Non si è mai tirato indietro, preferendo la corsia della diplomazia. In tutte le maniere ha cercato di far capire alla gente, che abita in questi territori di non arrendersi di continuare a lottare pacificamente uniti, facendo sentire nelle sedi opportune le proprie ragioni.

    E dalla Puglia interpellato da Nuovo Molise, continua a mandare messaggi inequivocabili affinché, quella che è stata per vent’anni la sua terra, non venga definitivamente cancellata.

    Il nuovo Piano Sanitario Regionale vorrebbe smantellare il presidio ospedaliero di Agnone. Santucci, lei che conosce perfettamente le esigenze di quella popolazione cosa ne pensa?

    «La Regione Molise deve mettere una volta per tutte la testa a posto. Vogliono accelerare un processo di desertificazione ormai già avviato, ebbene lo facciano pure, ma un domani questa azione gli si ritorcerà contro. Infatti è impossibile pensare ad una regione che accentri tutto su quattro città, tralasciando i problemi dei fratelli minori. Al contrario questi territori andrebbero difesi, aiutati, incentivati proponendo veri piani di sviluppo».

    In molti, sindaci compresi, reputano l’azzeramento del ”Caracciolo” la morte certa del territorio. Se lei potesse dare un suggerimento affinché queste popolazioni non si arrendano ad un destino che sembra ormai segnato, cosa direbbe?

    «Di superare gli individualismi, di non scannarsi tra di loro, di non essere passivamente rassegnati. Occorre lottare a fronte alta tutti uniti remando nella stessa direzione per conservare le tradizioni, la storia, le radici».

    Nel 1991 lei fece un manifesto intitolandolo ”Autodistruzione”. Un atto d’accusa verso la classe politica. A distanza di 16 anni tutto ciò si sta avverando. Ma è ancora convinto che le vere responsabilità sono del mondo politico?

    «Purtroppo sì. Ripeto la politica guarda solo ed esclusivamente ad una cosa: ai voti che un’area può attribuirgli. L’unico pensiero è questo anche se non dovrebbe essere così, perché la classe politica ha il dovere di guardare al bene di tutti senza distinzioni tra territorio più o meno forti in termini elettorali. Comunque c’è da dire anche un’altra cosa. E che queste popolazioni sono troppo apatiche, anche se non finirò mai di spronarle a reagire. Coraggio!».

    Monsignor Santucci, ma è possibile che oltre alla Chiesa su temi così scottanti intervengono davvero in pochi?

    «La Chiesa deve essere discepola di Dio, ma mi giunge voce che anche la Caritas sta cercando di fare tutto il possibile».

    Alla luce di quando sta accadendo quali sarebbero le iniziative che lei promuoverebbe?

    «Le racconto un piccolo episodio avvenuto qualche tempo fa a Trivento dove volevano chiudere alcune scuole. L’allora sindaco promosse un’azione popolare che voleva occupare la Trignina. Il questore di Isernia mi chiamò e mi disse di far desistere il primo cittadino. Sapete cosa gli risposi: ma come, adesso che la gente si è svegliata?».

    Come andò a finire?

    «Occuparono solo una corsia».

    Nel suo saluto di commiato disse che non sarebbe più tornato a Trivento. Perché?

    «Perché la nostra missione è quella di guardare avanti. Il mio compito si è esaurito quando è arrivato il nuovo vescovo. Non verrò fisicamente, ma con il cuore e con la mente porterò sempre dentro le popolazioni della Diocesi, intanto continuo a pregare per loro».

    E’ vero che a San Giovanni Rotondo si sente un po’ esiliato?

    «Assolutamente no, ho deciso io di venire qui e poi sto anche meglio fisicamente (scherza) perché non ho più il mal di fegato».

    Santucci, il fenomeno dello spopolamento avanza inesorabile, ma secondo lei è arrivata davvero la fine per questo lembo di terra?

    «Dipende molto da come ci si comporta, bisogna riaccendere la speranza».

     

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