• Editoriale
  • Nuova sanità molisana, troppe incongruenze

    Dopo aver visto i servizi televisivi della contestazione a Mons. Bregantini, e le varie reazioni, in primis voglio esprimere pubblicamente la mia solidarietà all’Arcivescovo, che, forse in maniera troppo ingenua, è intervenuto nel dibattito di questi giorni, rischiando il clamoroso equivoco dei suoi gesti e delle sue parole. Purtroppo, non essendo un tecnico, ha espresso in maniera non precisa la posizione che tutta la Sanità deve essere per il bene dei cittadini, ma esponendosi, date le sue precedenti discese in campo, all’equivoco della difesa della Sanità privata. Noto anche che un argomento usato è che i preti facciano i preti e non si occupino di sanità, che guarda caso è stato ed è un argomento usato spessissimo nei confronti del sottoscritto… purtroppo se la Chiesa deve fare la Chiesa, per il bene dei cittadini non può tacere, altrimenti questa cosa la si chiamerebbe omertà e non esprimerebbe la vicinanza di Cristo nei confronti dell’uomo concreto, che seppur vive non di solo pane, su questa terra ha diritto di essere tutelato in quanto uomo, in quanto il Regno di Dio si inizia a costruire su questa terra nella giustizia, nella verità, promuovendo solidarietà, bene comune e sanità per l’uomo, non l’uomo per la sanità.  Ho osservato con attenzione la proposta dell’on. Danilo Leva e del Sen. Ruta, e sono in attesa di elementi più tecnici. Ho capito che la base è quella del piano del tecnico Carmine Ruta, che però, purtroppo risulta datato in quanto all’epoca non esisteva il Decreto n.70/2015, il famoso decreto Balduzzi, e la normativa seguente maturata negli accordi Stato/Regioni. Inoltre, nella Finanziaria 2016, approvata dai nostri parlamentari, c’è l’obbligo di uniformare i vari sistemi sanitari regionali agli standard del Decreto Balduzzi, presentando, per le regioni in piano di rientro, la rimodulazione del sistema sanitario al Tavolo Tecnico per il rientro del deficit sanitario, e per le regioni con i conti in ordine, al Tavolo per l’attuazione del decreto per gli standard ospedalieri entro il 28 febbraio 2016, con l’obbligo di questi tavoli di dare i placet obbligatori alla riorganizzazione entro il 31 marzo 2016, e procedere da aprile 2016 all’attuazione. E’ una disposizione che pesa come un macigno e limita il raggio di azione.

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     Che cosa diviene impossibile in base a questo decreto:

    1) La possibilità di un ospedale clinicizzato e di un’Azienda Universitaria, in quanto il decreto salvaguarda solo le strutture esistenti prima dell’aprile 2015 per le Regioni sotto i 2 milioni di abitanti che ne abbiano una;

    2) Il mantenere autonomo come struttura pubblica la Cardiochirurgia (prevista per un bacino minimo di 600 mila abitanti), Ematologia (minimo 600 mila abitanti), Neurochirurgia (min.600 mila abitanti), Medicina Nucleare (min. 2 milioni di abitanti), Radioterapia oncologica (min. 600 mila abitanti), Neuroriabilitazione (min. 600 mila abitanti), in senso stretto, per cui o bisogna convenzionarsi con altra Regione, o è possibile che siano mantenute ove esistono convenzioni con erogatori privati specialistici di alta specializzazione;

    3) L’impossibilità di avere un DEA di II livello, previsto per un minimo di 600.000 abitanti. Poste queste premesse, che purtroppo sono legge, la mia domanda agli onorevoli e comitati è la seguente:  è possibile avere come pubblica l’Oncologia senza Ematologia (per intenderci, una cosa monca, che esclude la cura di tutte le malattie del sangue e le leucemie, ecc.),  e la Chirurgia Oncologica: abbiamo gli specialisti in Regione per assicurarla? E per le altre discipline, allora, le perdiamo e ci convenzioniamo o con Bari o con Pescara/Chieti, rimandando a casa 200-300 lavoratori della Cattolica e altrettanti della Neuromed?

    A voi la risposta, tenendo presente che salterebbe l’accordo con la rinuncia al contenzioso, che avrebbe un costo molto oneroso in caso di vittoria legale, sottoscritto dal nostro Governatore con queste strutture, , cosa che peggiorerebbe ulteriormente verso il default i nostri conti sanitari. Al sottoscritto pare intelligente e corretto il percorso intrapreso, perché consente di mantenere queste specialità in Regione, e con l’integrazione funzionale in un unico ospedale Cardarelli/Cattolica c’è un forte taglio di costi di gestione. Forse a tutti è sfuggito che la Cattolica è un’azienda in perdita dalla sua nascita: appena si insediò il Ministro Lorenzin ricordo un incontro a Roma con il generale Rastelli, in cui già la struttura era arrivata al limite di capitalizzazione, che finanziariamente è il limite del default, ed essa sopravvive grazie ad un sistema di riconversioni, per cui io parlerei più di dismissione non cruenta della Cattolica più che di privatizzazione, con una “finzione giuridica” che, mentre di fatto riduce di molto l’incidenza della struttura (condivisione di laboratorio analisi, radiologia, rianimazione con il pubblico) sui conti della sanità regionale, consente di mantenere le specialità sul territorio. Come ovviare ai problemi rappresentati dai comitati?

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     E qui rilancio la proposta del Senatore Giuseppe Astore, con il quale ci incontriamo e scontriamo amichevolmente dal 1998, mantenere le UOC al privato convenzionato e istituire nel pubblico le UOS di tali specialità come unità dipartimentali a valenza regionale, con piattaforme chirurgiche mobili. Ovviamente, nel Programma Operativo, guardando al DM 70 si poteva fare di più: grande perplessità suscita la mancanza di posti letto di Oculistica in tutti i presidi sanitari pubblici: il decreto Balduzzi prevede una Unità Operativa Complessa per un minimo di 150 mila abitanti. Qui ci troviamo difronte ad una scelta, temo, politica: non prevedendo posti di oculistica in tutta la Regione, scatta il comma relativo 2.5 del Decreto in questione che consente il salvataggio, attuato per Cattolica e Neuromed, anche per Villa Maria, che si vede ad essere individuata come Clinica Monospecialistica a valenza Regionale che assicura un servizio sanitario non presente nel pubblico: su questa materia si può e si deve discutere, perché ciò comporta non solo la scomparsa del reparto di Larino, ma dell’attività di ricovero presso il Cardarelli e Veneziale, con un numero alto di medici di settore già assunti e che saranno sotto utilizzati con costi notevoli, il che non è precisamente un efficentamento, ma l’opposto. Inoltre, si è stati molto poco generosi nel confronti del Santissimo Rosario e del Vietri: specialmente per quest’ultima struttura, da me visita ultimamente, molto bella, piange il cuore a vederla sottoutilizzata in futuro. Il Decreto Balduzzi consentiva per gli Ospedali in Riconversione Punto di Primo Intervento per le 12 ore diurne, gestito nelle ore notturne dal 118, e non esclude la possibilità di posti letto ospedalieri per post acuzie, Riabilitazione e Lungodegenza, proprio in virtù dell’esistenza del Punto di Primo Intervento fino alla definitiva riconversione. La scelta operata è stata quella acritica e forse poco intelligente di prevedere le post acuzie solo per gli Ospedali per acuti Veneziale, Cardarelli e San Timoteo, portando ad un aumento dei posti letto di questi, forse come fumo per gli occhi, ma penalizzando troppo Vietri e Santissimo Rosario: qui ci può essere a mio giudizio un sereno ripensamento. Inoltre, presso il Vietri e il Santissimo Rosario, oltre alla Chirurgia Ambulatoriale Complessa, si potrebbe garantire il Day Surgery gestito dal Presidio di riferimento, Veneziale e San Timoteo. Inoltre, dato che presso il Vietri ci sono le uniche sale operatorie ISO 5 che garantiscono la chirurgia oculistica, e sarebbe un vero peccato smantellarle, con equipe assicurate dal San Timoteo si può garantire l’attività chirurgica oculistica che, è bene ricordarlo, per quasi tutti gli interventi relativi alla disciplina è di ambulatorio chirurgico complesso/Day Surgery e in parte per Week Surgery: in questo secondo caso i pazienti possono essere trasferiti agevolmente presso il San Timoteo, dato il grado di emergenza di questi interventi non particolarmente alto, prevedendo alcuni posti letto.Viceversa, per la provincia di Isernia, e dato l’ingorgo del Veneziale, non sarebbe peregrino pensare di fare la stessa cosa per l’Oculistica, ripristinando la certificazione ISO 5, per l’Ospedale di Area Particolarmente Disagiata San Francesco Caracciolo, limitandosi qui agli interventi in Ambulatorio Chirurgico Complesso/Day Surgery di specialità, con equipe proveniente dal Veneziale.  Si è stati infine, secondo il Balduzzi, molto poco generosi nel configurare l’Ospedale di Area Disagiata San Francesco Caracciolo, che è stato configurato sotto gli standard previsti dal Decreto n.70. Qui il mal di pancia cresce. Infatti, dopo le premesse, si parla di “un servizio di emergenza urgenza assicurato con personale a rotazione dallo Spoke di Isernia configurato come punto di primo intervento”. Ora, il Decreto 70 prevede testualmente un Pronto Soccorso di Area Particolarmente Disagiata (la parafrasi del Programma Operativo invece concede con un giro di parole qualcosa di molto simile a quanto previsto per gli ospedali per riconversione senza posti letto per acuti), che, come chiarito dalle Linee Guida della Regione Piemonte, dove è nata la materia, è un Pronto Soccorso di Base che deve assicurare “una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei servizi necessari di supporto attività di medicina interna, chirurgia generale ridotta” come scritto nel punto 9.2.2 del Balduzzi, o meglio  con personale medico della disciplina di medicina e chirurgia di accettazione e d’urgenza, consulenza di medicina interna, chirurgica e anestesiologica H24 assicurato dal DEA di Riferimento, il Cardarelli, con la rotazione del personale, che garantisce professionalità e necessario aggiornamento. Anche perché vi sono 20 posti letto per acuti di medicina generale: anche qui l’invenzione dei 3 Day Surgery, per l’attività elettiva, non corrisponde al DM 70: il principio del decreto vuole la possibilità di un supporto chirurgico H24 per l’emergenza/urgenza (con possibilità di interventi operatori d’urgenza) e quindi la possibilità di interventi in elezione in day e week surgery data la presenza dell’equipe chirurgica, il che presume il mantenimento H24 delle sale operatorie con relativo personale. Qui le cose vanno assolutamente corrette, perché non in linea assolutamente con le norme vigenti, altrimenti il problema è da ritenersi politico e non tecnico.

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    Altre osservazioni, emerse dopo un confronto con il dott. Renato Meo, che i tecnici regionali farebbero bene ad ascoltare, sono le criticità per la Rete Laboratoristica presenti nel Programma Operativo, perchè sarebbe opportuno concentrare l’immunoematologia presso il Centro HUB, l’immunoflorescenza è una tecnica comune e non un gruppo di prestazioni, si fa riferimento al DCA 41/2015, che andrebbe nell’allegato profondamente rivisto, che contiene un  organizzazione dei laboratori in contrasto con il Programma Operativo, diversi esami obsoleti e non più utili (es. latte muliebre), e diversi esami classificati molto male(es. la Microalbuminuria, esame semplice soprattutto per l’insufficienza renale, che è un esame di base, attributo alla Tossicologia ed effettuabile secondo il Decreto solo da un laboratorio di Alta Specializzazione), oltre ad una divisione così troppo precisa degli esami clinici di Urgenza, Base e Specialistici da risultare alla fine antieconomico e dispendioso, mentre in un discorso di rete sarebbe importante che ogni laboratorio, usando stesse metodiche e procedimenti con stessi range per singolo esame, faccia tutto il possibile, visto che la risposta esce dal Centro Unico di Campobasso. Un’ultima osservazione riguarda il Dipartimento di Salute Mentale e il DCA di riordino, a cui fa riferimento il programma operativo: per la Provincia di Isernia sono messe in pericolo le Case Famiglia ad Alta Intensità Assistenziale di Villacanale, Frosolone, Vastogirardi, Colli al Volturno, e Sant’Agapito, dato il taglio di circa 20 posti di tale tipologia per le case esistenti in Provincia, e la riduzione ad una decina, con conseguente assegnazione di nuovi posti alla Provincia di Campobasso: come parroco di Villacanale, e Direttore dell’Ufficio Pastorale Salute della Diocesi di Trivento, dove insistono 3 case famiglia su 5, non posso essere assolutamente contento, visto che anche a livello territoriale il nostro territorio, già penalizzato, lo viene ad essere ancora di più, mentre un ambiente sereno e tranquillo favorisce il recupero della malattia mentale: invece, la scelta va in controtendenza, ed anche qui è decisione politica discutibile.  Mi auguro che queste riflessioni possano aiutare tutti noi a fare le battaglie di sostanza per il miglioramento possibile, prima del loro varo definitivo, dei programmi operativi.

    Don Francesco Martino,

    Direttore ufficio pastorale Salute diocesi di Trivento

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