Spopolamento, mancanza di servizi, comunicazioni, digital divide e carenza di mezzi di trasporto anche del servizio pubblico, tutti deficit che si ripercuotono negativamente anche sulla scuola, la maggiore “azienda” del territorio montano a cavallo tra Abruzzo e Molise. Paradossalmente, però, questi problemi possono rappresentare una marcia in più e addirittura un’occasione di stimolo e di rilancio per le piccole scuole di montagna. Ne è convinta la dirigente scolastica Anna Paolella, molisana di Castelpetroso, che però gestisce l’istituto scolastico di Castiglione Messer Marino-Carunchio. La preside è stata intervistata dal portavoce del Movimento per la difesa delle zone interne, Domenicangelo Litterio, e ha fornito interessanti spunti di riflessioni in merito al ruolo che la scuola, come istituzione, può rappresentare in un territorio depresso e marginalizzato come quello dell’Alto Vastese e Molise.
«Ci sono grandi difficoltà, è inutile negarlo, legate principalmente alla mancanza di servizi, ma anche all’orografia del territorio. – ha esordito la dirigente scolastica – Facciamo i conti con i numeri, con lo spopolamento, ma non possiamo e non dobbiamo basarci su questo, sui singoli numeri, perché quando si tratta di alunni uno equivale a cento. Come previsto dalla costituzione, indipendentemente dal numero di alunni noi come scuola dobbiamo garantire lo stesso livello di offerta formativa, gli stessi standard.
A causa della epidemia abbiamo messo in atto sperimentazioni innovative affinché i nostri ragazzi abbiano una qualità del servizio paritetica rispetto a quelle delle scuole sulla costa o delle città. Facciamo parte del Movimento delle Piccole Scuole, una rete di scuole che punta sulla sperimentazione di nuovi modelli didattici negli istituti che insistono nei territori montani. La scuola, per come la intendo io, è una officina di competenze e di cittadinanza, aperta all’esterno, alla società e l’autonomia ci consente di prescindere dal modello legato al numero di alunni per classe, anche in ragione dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, adottando un modello diverso che dovrà essere aperto all’esterno. E questo è possibile soprattutto nelle piccole comunità. Apertura all’esterno, dunque, sul territorio, ma anche oltre i confini territoriali, grazie appunto alla rete. E’ sicuramente necessario riconoscere la vocazione territoriale anche della scuola, costruire dei percorsi che possano fare restare o addirittura tornare le persone in montagna. E credo che la scuola possa fare molto in questo, in sinergia con le altre istituzioni».
Logica dei numeri e pluriclassi, tasto dolente per ogni piccola scuola di montagna. La preside ha le idee chiare anche su questo: «Tenere aperta una scuola con quattro o cinque alunni oggettivamente difficile, non so quanto pedagogicamente valido. Serve un nuovo modello di formazione, ma è un’altra scuola, non quella alla quale siamo abituati da anni. Facciamo parte della strategia nazionale aree interne, che consente deroghe ai grandi numeri funzionali agli istituti scolastici. Abbiamo proposto una rete regionale con altri istituti costieri e università per far sì che i ragazzi conoscano il proprio territorio, anche le tradizioni, la cultura locale e possano magari costruire una imprenditorialità scolastica, cooperative scolastiche, una imprenditorialità di territorio, affinché l’economia dei piccoli centri si possa basare anche su beni immateriali, non solo materiali. Molte volte chiediamo agli altri di iniziare a fare qualcosa per favorire un cambiamento; facciamolo noi, cominciamo noi, anche come scuola».
«Viviamo un momento difficile e le problematiche molisane sono identiche a quelle abruzzesi, perché si tratta sempre di zone interne. Ho trovato grande disponibilità nei confronti della scuola da parte della società dell’Alto Vastese, per sperimentare idee forse poco innovative rispetto al panorama pedagogico internazionale, ma sicuramente innovative sul territorio. Insegnamento a distanza, didattica a distanza come scuola del futuro. E’ questa la scuola del futuro, con dei percorsi misti, non solo e non più trasmissione della cultura dalla cattedra. Questo modello non funziona più, penso alla psicopedagogia dei gruppi, ad una scuola come comunità di pratica, con una didattica situazionale e comunicativa, affrontando argomenti in classe, ma sperimentandoli e rivalutandoli in un sistema a rete che può avere un canale privilegiato nella didattica a distanza.
I ragazzi sono nativi digitali, esperti di sistemi multimediali, è normale per loro fare didattica a distanza, la difficoltà semmai è per gli adulti, genitori e insegnanti. Dobbiamo sfruttare questa opportunità per portarla a sistema nel prossimo futuro, per uno scambio costante con altre scuole, in rete, dai monti alla costa al resto d’Italia e del mondo. Dobbiamo dare agli alunni radici ed ali: radici profonde per legarli al loro territorio di origine, ma anche ali per andare oltre e lontano, spendere le loro competenze altrove.
Cittadini del posto, ma anche cittadini del mondo. Nell’ambito di questo discorso avremo a breve la prima biblioteca innovativa del territorio, cartacea e digitale, non solo della scuola, ma dell’intera comunità territoriale. Da fuori, quindi, si potrà entrare a scuola per andare in biblioteca, potranno lavorare e fare ricerca nel nostro istituto. Costruire un nuovo sistema è possibile, che coinvolga tutta la società. Iniziamo così».