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  • Tartufaie controllate e partita Iva per i cercatori, levata di scudi contro il tentativo di normare la raccolta

    L’abbinamento logico immediato che si fa pensando al piccolo centro altomolisano di San Pietro Avellana è quello con il suo prodotto principe: il tartufo. Ebbene, proprio questo “tesoro” che la terra e i boschi dell’Alto Molise producono in abbondanza, secondo gli operatori del settore sarebbe addirittura a rischio, ma non per effetto dei cambiamenti climatici o a causa della barbara usanza della quasi totalità dei cercatori di zappare il terreno per estrarre il più possibile e fare soldi, bensì per il tentativo di regolamentare un settore che da decenni si muove ben al di là della zona grigia dell’economia sommersa.

    In questi giorni è in corso una sorta di battaglia ingaggiata dall’Associazione nazionale tartufai italiani contro i tentativi di normare e regolarizzare un mondo sommerso che è ben noto in tutto l’Alto Molise. L’associazione di tartufai, rappresentata dal presidente Riccardo Germani, ha inviato alla commissione competente una segnalazione secondo la quale sarebbe addirittura a rischio «la sopravvivenza della pratica tradizionale della libera cerca del tartufo, riconosciuta nel 2021 come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dall’Unesco».

    «È attualmente in discussione presso la Commissione Agricoltura del Senato della Repubblica Italiana il Disegno di Legge n. 1412, conosciuto come Legge Bergesio, che introduce modifiche profonde al quadro normativo italiano in materia di cerca e raccolta del tartufo. – spiega il presidente dei tartufai Riccardo Germani – Tra gli aspetti più critici del provvedimento segnaliamo: l’istituzione delle cosiddette “tartufaie controllate”, delle riserve private senza limiti di estensione territoriale e con durate eccessive fino a trent’anni, sottraendo sempre più aree alla libera cerca; l’obbligo di apertura di una partita Iva per i cavatori che superano i cento grammi giornalieri di tartufo bianco o i trecento grammi di tartufo nero, imponendo una rigidità fiscale che snatura la natura culturale e tradizionale della pratica; il totale scostamento dalle linee guida condivise nel tavolo di filiera del tartufo, istituito dal Ministero dell’Agricoltura con il coinvolgimento delle principali realtà associative del settore, il cui lavoro è stato ignorato nella formulazione del testo di legge».

    Ai tartufai, in sostanza, va bene così e bisognerebbe lasciare le cose come stanno, senza introdurre vincoli e paletti, soprattutto fiscali. Un mondo, quello del mercato del tartufo, che ha già dato prova di muoversi nel sommerso e spesso anche nell’illegalità. Proprio i boschi di San Pietro Avellana sono stato teatro, nei mesi scorsi, di crimini quali l’avvelenamento di decine di esemplari di cani da tartufo, una barbarie della quale nessuno ha ancora risposto davanti alla legge.

    E sempre in Alto Molise gli episodi di incendi chiaramente dolosi di autovetture, guarda caso di cercatori di tartufo, avvenuti a Capracotta o più spesso in agro di Belmonte del Sannio, come se sulla zona ci fosse una  sorta di “clan” che gestisce e può prelevare in via esclusiva la risorsa naturale rappresentata dal tartufo.

    «Tali misure – riprende il presidente dei tartufai – minacciano direttamente l’identità e l’esistenza stessa della figura del tartufaio, un portatore di saperi ancestrali radicati nella tradizione contadina italiana e unica nel suo genere a livello internazionale. Il tartufaio non è un imprenditore agricolo, ma un custode del territorio, protagonista di una pratica orale e intergenerazionale che si tramanda di padre in figlio, in armonia con la natura, attraverso percorsi nei boschi, nei terreni non coltivati, lungo i corsi d’acqua e nei parchi naturali». L’associazione di categoria chiede infine di «monitorare attentamente l’iter del Disegno di Legge n. 1412, alla luce degli impegni internazionali previsti dalla Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale; richiamare le autorità italiane al rispetto degli obblighi assunti, garantendo che ogni intervento normativo non comprometta la libera cerca nella sua forma tradizionale, ovvero esercitata nei boschi, nei terreni non coltivati, lungo i corsi d’acqua e nei parchi naturali, secondo quanto riconosciuto dalla stessa Unesco; favorire un confronto istituzionale ampio, trasparente e partecipato, che includa le comunità dei tartufai e le associazioni rappresentative, affinché venga salvaguardata l’autenticità culturale della pratica».

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