ROMA – Un alunno su due (il 49%) delle scuole primarie e secondarie di primo grado non ha accesso alla mensa scolastica. Inoltre, l’erogazione del servizio e’ fortemente disomogenea sul territorio, anche dal punto di vista delle tariffe molto diverse da un comune all’altro. E’ il quadro che emerge dal nuovo rapporto “(Non) Tutti a Mensa 2018” di Save the Children, che evidenzia come – ad un anno dall’ultimo monitoraggio – sono ancora molte le scuole che non assicurano ai bambini e alle loro famiglie l’accesso alla mensa scolastica che “non solo rappresenta un sostegno all’inclusione e all’educazione alimentare, ma e’ uno strumento fondamentale per il contrasto della poverta’ e della dispersione scolastica”.
“In un contesto come quello dell’Italia – denuncia Save the Children – nel quale si registrano oltre 1 milione e 200 mila bambini e ragazzi, il 12,1% del totale (piu’ di 1 su 10), in poverta’ assoluta e 2 milioni e 156 mila in poverta’ relativa, la refezione scolastica dovrebbe garantire a tutti i minori almeno un pasto proteico al giorno, aiutando le tante famiglie in difficolta’, in particolare quel 3,9% dei bambini che ancora oggi non consuma un pasto proteico al giorno”.
La forbice tra Nord e Sud si allarga sempre piu’. Sono sei le regioni insulari e del Meridione che registrano il numero piu’ alto di alunni che non usufruiscono della refezione scolastica: Sicilia (81,05%), Molise (80,29%), Puglia (74,11%), Campania (66,64%), Calabria (63,78%), Abruzzo (60,81%) e Sardegna (51,96%). Delle nove regioni in cui oltre meta’ dei bambini non accede alla mensa, quattro registrano anche la percentuale piu’ elevata di classi senza tempo pieno (Molise 94,27%, Sicilia 91,84%, Campania 84,90%, Abruzzo 83,92% e Puglia 82,92%) superando ampiamente il dato nazionale gia’ critico, secondo il quale oltre il 66% di classi primarie risulta senza il tempo pieno. In cinque di loro, si osservano anche i maggiori tassi di dispersione scolastica (Sardegna 21,2%, Sicilia 20,9%, Campania 19,1%, Puglia 18,6% e Calabria 16,3%).
Anche le agevolazioni risultano frammentate e disomogenee. Tutti i comuni presi in esame applicano agevolazioni su base economica ponendo ognuno una soglia Isee differente; 37 di loro modulano le tariffe a seconda della composizione familiare; 28 comuni sulla base di disagi sociali, perdita del lavoro o segnalazione dei servizi. Tra questi i comuni di Bergamo, Bologna, Padova e Palermo riducono la tariffa per i nuclei familiari con disabilita’.
Il requisito della residenza continua ad essere un fattore discriminante per accedere o meno alla mensa. Sono 28 i comuni che lo applicano come criterio restrittivo (58%) penalizzando molti bambini che per varie motivazioni non sono ancora residenti nel comune, mentre 17 non ne tengono conto (42%). Nei comuni presi in esame, le tariffe massime variano dai 2,5 euro (Perugia) ai 7,2 euro (Ravenna), le tariffe minime passano da 0,30 euro (Palermo) ad un massimo di 6 euro (Rimini). Il risultato di queste differenze e’ che una famiglia con un figlio in disagio economico (Isee 5.000 euro), sarebbe esentata dal pagamento solo in 10 comuni, mentre tra i restanti comuni le tariffe applicate variano da 0,35 euro a pasto di Salerno ai 6 euro di Rimini. In 26 comuni, tra cui quest’ultimo, si garantisce l’esenzione, e dunque tariffa 0 euro, per le famiglie in condizioni di necessita’ economiche se segnalate dai servizi sociali. Non uniforme pure la compartecipazione delle famiglie ai costi: varia da un massimo nei comuni di Bergamo (95%), Forli’ (96,7%) a un minimo dichiarato da Reggio Calabria (20%), Cagliari (27,48%), Bari (30%), Napoli (30,75%) e Perugia (35%).
Un altro fattore di discriminazione e’ la scelta di 11 comuni monitorati di prevedere la sospensione del servizio per i figli di genitori che non hanno pagato la retta della refezione scolastica regolarmente. I restanti 34 invece, dichiarano di non rivalersi sui bambini in caso di genitori insolventi, ma di attivare un meccanismo di recupero crescente.