• Editoriale
  • Voto, frottole mascherate da promesse

    Recentemente abbiamo postato le seguenti due riflessioni su FB condivise da moltissimi amici.

    “Elezioni politiche del 4 marzo: siamo certi che si tratta di vere elezioni con reale potere decisionale a qualsiasi livello?” 

    “Sui banchi della campagna elettorale si vendono “frottole” mascherate da “promesse”. Lo strano è che c’è gente che le compra!”

    Chiaramente non si trattava di inviti all’astensionismo dal quale almeno in questo momento siamo molto lontani, ma la loro consequenzialità non era evidentemente casuale, giacché, anche se in termini schematici, voleva essere una considerazione schematica sul momento grottesco che oggi vive la politica ed un invito a riflettere sulle sue distorsioni.

    Non essendo più in grado di porsi a livello di proposta di lungo termine e di largo respiro, ridotta ormai in gran parte a serva del mondo finanziario, incapace di generare interessi e passioni, cerca soluzioni plutocratiche o oligarchiche per la gestione del potere sic e simpliciter, riducendo a forma poco più che simbolica la partecipazione decisionale della popolazione.

    È così che, invece di elaborare idee per una legge elettorale in grado di dare reale potere di scelta ai cittadini, si è inventata in Italia una serie di proposte per il voto che di fatto riducono il suffragio alla pura lettura di una scheda elettorale elaborata dalle segreterie dei partiti nella quale ci si può limitare unicamente a scegliere una forza politica o coalizioni fittizie.

    Poiché in generale, con le dovute ridottissime eccezioni, l’unica fonte ispiratrice sembra l’ideologia neoliberista che sta conducendo alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici ed alla deregolamentazione dei più importanti aspetti della vita comunitaria, alla politica non rimane altro che trasformarsi in una grande agenzia propagandistica studiando il marketing più opportuno per parlare non alla testa, ma alla pancia dell’elettorato.

    Non più allora idee comprensibili di costruzione di una società a misura di esseri umani e fondata sull’eliminazione dei privilegi e sulla realizzazione della giustizia sociale, non progetti di costruzione di un’economia di condivisione sociale, ma veri e propri spot promozionali di un’indecenza scandalosa e devastante sistematicamente bocciati da quella parte del mondo scientifico, economico ed intellettuale non asservita al potere finanziario.

    È un sistema che, sostenuto da gran parte dei media, rischia di oscurare ogni forma di pluralismo, di confronto e di pensiero critico.

    Ci sono da diversi angoli promesse come il reddito di cittadinanza, il miglioramento degli assegni familiari ed il regime delle deduzioni e detrazioni fiscali.

    Su questo palco pubblicitario senza ritegno potremmo enucleare poi le tantissime frottole mascherate da promesse che vanno dall’eliminazione della tassa di possesso delle auto, del canone Rai, della legge Fornero, degli studi di settore, delle tasse universitarie, dell’Irap e … chi più ne ha più ne metta.

    Noi vorremmo fermarci su quella che riteniamo la balla più grossa gonfiata nel cielo della pubblicità elettorale e che ad economisti di grande spessore intellettuale ed etico appare come una proposta davvero irrealizzabile.

    Stiamo parlando della flat tax, ispirata, manco a dirlo, nel 1956 dall’economista Milton Friedman, padre del neoliberismo.

    Oggi interessa in gran parte paesi dell’area dell’est europeo e quelli dei cosiddetti paradisi fiscali.

    Si tratta di una tassa forfettaria, piatta, uguale per tutti, proporzionale, ma non progressiva, che a giudizio di Forza Italia e della Lega dovrebbe avere un’incidenza del 23% o addirittura solo del 15% con l’allargamento della stessa “no tax area” che oggi prevede il tetto degli ottomila euro.

    Siamo davanti ad una proposta a nostro avviso irrealizzabile, impraticabile, illusoria, ma soprattutto profondamente ingiusta ed incostituzionale.

    Intanto,  secondo calcoli di economisti de “lavoce.info” , una realizzazione di tale idea di tassazione comporterebbe per il bilancio dello stato un ammanco di poco meno di sessanta miliardi e finora non si riesce a spiegare quale può essere la copertura finanziaria per il mancato gettito fiscale.

    Oltretutto la fascia più bassa di redditi vedrebbe un risparmio di appena l’1% mentre quella più alta raggiungerebbe addirittura il 14% .

    Dovrebbe essere chiaro a tutti che ancora una volta il vantaggio maggiore sarebbe per le fasce più ricche della popolazione con un ulteriore allargamento della forbice di distanza tra benestanti e poveri.

    Quando poi, allora, si dice genericamente che occorre eliminare le disuguaglianze la coerenza si eclissa e si vendono lucciole per lanterne.

    Chi fa tale proposta oltretutto dimentica che la Costituzione Italiana nell’art. 53 fissa con estrema chiarezza i criteri di attribuzione del sistema tributario nei seguenti termini: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

    Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

    È a nostro avviso proprio la mancanza di progressività che rende incostituzionale la proposta della flat tax.

    Piuttosto che cimentarsi in suggerimenti di pura facciata, le forze politiche farebbero bene a rimodulare davvero in maniera radicale la redistribuzione della ricchezza eliminando le aree scandalose di privilegi nelle retribuzioni e nel sistema pensionistico intorno a cui occorre finalmente fissare dei tetti che nessuno deve avere il diritto di superare.

    In questa direzione le linee essenziali di un programma credibile sono nel diritto fondamentale alla casa, al lavoro, alla salute ed all’istruzione.

    Se la politica non è capace di impegnarsi su questo, rimarrà schiava dei poteri forti e degli interessi individuali e di gruppo accentuando un processo di scadimento e regressione foriero di orizzonti bui.

    di Umberto Berardo 

     

     

     

     

     

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