Danni da cinghiale in agricoltura e necessità del contenimento della specie. Fabio Di Paolo, dottore agronomo, cacciatore e consulente della ArciCaccia di Vasto, interviene nel dibattito in merito alla efficacia delle varie tecniche di prelievo.
«Nell’ultimo decennio, si è assistito ad un aumento esponenziale del numero dei cinghiali presenti sul territorio abruzzese ciò dovuto a due fattori principali, il primo l’abbandono del mondo agricolo che ha causato un aumento delle zone di rifugio di detto animale e l’altro dai sempre più inverni miti che permettono la sopravvivenza di un numero sempre maggiore di piccoli ed alla possibilità sempre più frequente, quasi la normalità, di due figliate l’anno. – spiega Di Paolo – L’errare di tutti questi animali si scontra con la presenza umana sul territorio provocando gli ormai giornalieri incidenti stradali ed andando a danneggiare il già debole settore dell’agricoltura messo già a dura prova dall’importazione delle derrate alimentari. I danni provocati dal cinghiale al mondo agricolo sono tantissimi e nei modi più impensabili soprattutto legati all’imbrancamento. Quest’animale si è reso responsabile della devastazione di campi di grano, orzo, avena, sorgo, ceci, girasole, mais di cui è ghiotto. Oltre che mangiarli i cinghiali ne calpestano una grandissima quantità, ma i danni non sono legati al solo consumo diretto, ma anche al continuo scavare portando all’aria radici di piante fruttifere oppure sporcare il fieno da raccogliere rendendolo non più appetibile per il bestiame. – aggiunge Di Paolo – A seguito di tutti questi problemi non si fa altro che parlare di soluzioni del problema spesso con proposte assurde, tenendo presente che non si possono difendere strade e campi dall’invasione dei cinghiali recintando le migliaia di chilometri di strade o tutti i terreni agricoli, sia per i costi insostenibili che si dovrebbero sostenere e sia per la manutenzione giornaliera di cui necessitano. – continua il consulente dell’ArciCaccia – L’unica soluzione attuabile è quindi la riduzione numerica della specie e qui la fantasia umana si è scatenata, qualcuno ha proposto i mangimi sterilizzanti senza pensare che potrebbero mangiarli non solo i cinghiali ma anche altri animali e senza preoccuparsi di chi poi mangia i cinghiali sterilizzati; c’è la possibilità dei recinti di cattura in cui si catturano branchi interi per mandarli successivamente al mattatoio, però la comunità europea vieta le catture massali e quindi rimane limitato al solo scopo scientifico; le gabbie sono contrarie al benessere animale e peccano di mancata selettività. L’unica strada ad oggi che continua a dare risultati è la caccia nelle diverse forme, c’è la braccata che effettua una forte riduzione numerica, ma per problemi diversi rimane confinata ad un periodo ristretto di tempo e non può essere effettuata all’interno di zone precluse alla caccia; alla braccata si aggiungono la selezione che permette di continuare ad abbattere in periodi diversi dalla braccata ed in maniera più selettiva cercando di riequilibrare la destrutturazione dei branchi causata dalla braccata ed infine il selecontrollo coordinato da agenti di polizia provinciale negli ambienti fortemente antropizzati o preclusi alle attività di caccia. – aggiunge in chiusura Di Paolo – Alle diverse forme di caccia praticata dall’uomo si è aggiunta la presenza del lupo che anche se non selettivo nella caccia ed anche se provoca altri tipi di problemi alla zootecnia, effettua una forte predazione dei piccoli di cinghiale andando a ridurne il numero. E’ solo con la combinazione di tutte le forme di caccia effettuate dall’uomo e dalla predazione di un predatore naturale come il lupo che si può frenare questo aumento incontrollato e nel corso di un periodo più o meno lungo riportarlo ad una consistenza più accettabile».