PESCARA – Riceviamo dall’associazione agricola Cospa di Ofena e pubblichiamo:
«Il mondo agricolo e venatorio si è riunito ieri sera a Pescara preoccupati per il nuovo piano faunistico venatorio, visto che una percentuale di cacciatori è composta da agricoltori, quindi è doveroso far notare alla Commissione agricoltura che il nuovo piano è un vero attacco alle coltivazioni agricole già fortemente compromesse da scelte animalistiche e ambientalistiche, vedi parchi oasi, riserve naturali e Sic, i cui territori ricoprono gran parte della superficie regionale, superando il 30% previsto dalla Legge 157/92. Questi territori hanno favorito il proliferare della fauna selvatica come il cinghiale, una specie in grado di percorrere oltre 50km per sfamarsi e tornare nei luoghi resi indisturbati dalle leggi dell’epoca moderna. Un problema annoso, rispetto al quale la politica ha fatto orecchie da mercante, anzi ha peggiorato i danni con la reintroduzione del lupo per combattere il cinghiale. Grazie ai cervellotici ambientalisti dei giardini pensili e agli animalisti degli animali degli altri, ad essere danneggiati sono anche gli allevatori. Ci mancava il piano faunistico venatorio per finire di mettere in ginocchio l’agricoltura, giudicata volano dell’economia. Un volano che ormai gira pianissimo. Il piano faunistico venatorio così come concepito dall’Ispra, tecnici di grido e dirigenti regionali, costato oltre 100 mila euro, ha partorito un aborto che costerà caro all’agricoltura, perché grazie al nuovo piano, se approvato tal quale, le aree protette aumenteranno di superficie, le zone di caccia ridotte con l’eliminazione di un metodo di caccia tipica della nostra cultura tramandata di padre in figlio. Nonostante ci sia un regolamento restrittivo, come ad esempio l’orario di inizio battuta non può avvenire prima delle ore 9, in pratica dobbiamo aspettare che i cinghiali tornino nelle aree protette e facciano il ruttino alla faccia degli agricoltori e il periodo di apertura che va dal primo di ottobre al 31 dicembre si riduce a soli 30 giorni l’anno, siamo riusciti a contenere il numero dei cinghiali. I cani da caccia, è vero che spostano i cinghiali nelle aree protette, ma almeno li allontanano dalle aree coltivate, ma purtroppo si pensa alla quiete della fauna rintrodotta nei parchi cervi, caprioli e istrici, i quali ce li ritroviamo a sfamarsi insieme ai cinghiali sui nostri campi. Ma perché il Wwf non compra da mangiare e si tiene i cinghiali dentro le riserve visto che è un carrozzone finanziato con le tasse degli italiani? Invece pensa a fare statistiche di incidenti di caccia. Per sostenere il piano faunistico sono scesi in campo associazioni ambientalistiche con dichiarazioni false smentite da dati certi dai caposquadra di zone ricadenti nelle zone dichiarate non vocate, tutto per sponsorizzare un tipo di caccia, mirato a finanziare corsi di abilitazione. Il piano faunistico venatorio redatto da cervellotici dell’Ispra, un altro carrozzone, che colora di giallo la nostra regione dove dice che il cinghiale deve essere eradicato, ma non tiene conto che all’interno di queste zone ci sono oasi, riserve e zona di ripopolamento dove la caccia è vietata, ma la cosa più grave prevista nel piano è che i cacciatori devono mantenere una zona di rispetto di 500 metri in linea d’aria da queste zone dove il cinghiale prolifera. In realtà questa zona gialla dichiarata non vocata al cinghiale è piena di rimesse protette, quindi sarebbe il caso di togliere le oasi di Penne e di Piano d’Orata, visto che sono dighe artificiali costruite dall’uomo, ora chiamate oasi naturali. Si spera che questo piano venga incontro agli agricoltori con l’aiuto della nuova politica regionale altrimenti ci vediamo costretti a regalare i cani all’assessore regionale, alle associazioni ambientaliste e animaliste».
Dino Rossi, Cospa Abruzzo