Quando Gianni Minoli – indubbiamente uno dei più intelligenti giornalisti del nostro tempo – intervistò Gianni Agnelli su tematiche varie che riguardavano il calcio, in cui Agnelli si considerava sovrano, maestro, Gianni gli disse, con quella “erre”, tra l’altro, accentuatamente francese, quasi una eredità genetica dei savoiardi subalpini, già influenzati, per secoli, dalla cultura e dalla lingua francesi, di avere una volta interpellato per telefono, un suo emissario, che trovavasi in Argentina, in cerca di talenti calcistici da aggregare alla Juventus, e di avergli domandato se aveva notizie di un certo “Maradonna”, il talent-scout gli riferiva di avere sentito parlare di questo giovane atleta, che veniva da un sobborgo di Buenos-Aires, che sin da piccolo aveva cominciato a calciare contro la pelota.
Aveva, Gianni, un fiuto lunghissimo e profondissimo: e’ vero che i tanti successi della Juventus, in Italia e nel mondo, non sarebbero stati un gran che modificati dall’ingresso, eventuale, in squadra di Maradona, ma l’intuizione del grande manager, precocemente scomparso – elegante con l’orologio sempre al polso destro, perfettamente cinturato sul polsino della camicia – era eccezionale.
Le auto e il calcio erano la sua profonda passione.
Diego Armando subito dopo cominciò ad essere l’attrazione su tutti i campi nel mondo, dopo esserlo stato nella sua patria; portò la squadra del Barcellona ai livelli più alti delle sue prestazioni internazionali.
Correva, correva come un dannato sui campi con le sue gambe corte e tozze; rocambolava sul campo come una lepre impazzita di marzo, tanto per usare una immagine, suggestiva ed affascinante, di Ruggero Orlando, il grande inviato della Radio Televisione Italiana a New York; sembrava che la palla gli rimanesse attaccata al piede da un invisibile mastice e che nessuno riuscisse a togliergliela quando ne veniva in possesso.
Rotolava sul campo e si alzava di scatto : dribblava tutti gli avversari; si presentava molto spesso solo davanti al terrorizzato portiere che, con le sue finte sublimi, disorientava; e, quindi, il colpo, infallibile, preciso nel fondo della porta.
Un fenomeno probabilmente superiore allo stesso Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè!
Gianni Agnelli lo aveva capito perfettamente.
El niño de oro, poi, andò nella squadra del Napoli, divenne subito un re: un re purtroppo non perfettamente epuro : fu sospettato di trafficare con la droga e con la malavita organizzata; le donne gli cadevano ai piedi ed una di esse, Cristiana Sinagra, gli procurò un figlio che era la immagine perfetta dell’effige, riccioluta e nera, di Diego Armando.
Fu sospettato di evadere le tasse; gli fu sequestrato un giorno l’orecchino di diamante da parte di un fisco, astuto ed occhiuto, che lo sorprese all’aeroporto in un momento in cui incautamente rimise piede in Italia.
E, poi, la fine ingloriosa di un uomo troppo velocemente ingrassato, appesantito: volto tumefatto, benchè sottoposto a chirurgia plastica.
Icona smarrita e perduta sullo sfondo dei suoi grandi e straordinari successi.
Ed è stata, anche per lui, “subito sera”.
Franco Cianci