Nei bar d’Italia, ora, si parla dello scontrino di Stasi.
È suo, non è suo… sarà lui il colpevole? Dopo diciotto anni si dovrà rifare tutto il processo da capo?
Sotto la lente e sul tavolo del dibattito pubblico c’è questo pezzo di carta.
È la prova, il dettaglio mancante. Forse l’alibi preconfezionato che qualcuno stava cercando.
Siamo seri. Non stiamo più parlando di “giustizia”, quella richiederebbe riserbo, competenza, rispetto delle procedure. Stiamo parlando dell’Italia.
Lo scontrino è diventato il simbolo di un Paese che ha trasformato il dolore in spettacolo, la cronaca in fiction, la tragedia in format televisivo.
Tutto è una rissa mediatica, dove nulla è chiaro perché non si deve capire nulla, se mai ci fosse davvero qualcosa da capire.
In questa legge della giungla, l’importante è che nessuno mostri rispetto: né per la vittima, né per la giustizia.
Il delitto di Garlasco è arrivato alla puntata intitolata “Lo scontrino”, sottotitolo: “È suo o non è suo?”.
E in questo circo, come sempre, c’è tutto: una magistratura smarrita, una procura che dovrebbe indagare e invece è indagata, avvocati che dovrebbero difendere ma inseguono le telecamere (forse candidati all’Isola dei Famosi); giornalisti che fanno share sul sangue, preti che benedicono e mentono, una polizia che sbaglia i rilievi. E poi il proliferare di opinionisti del nulla che pontificano tra un talk e l’altro.
Ovviamente non può mancare il pubblico, il vero protagonista, che applaude, scommette, si indigna e si diverte, testando la propria conoscenza del diritto: “Io lo sapevo che era lui il colpevole.”
Il delitto di Garlasco è, in miniatura, l’Italia allo specchio.
Dentro questa brutta storia c’è tutto: l’ipocrisia, la curiosità morbosa, la sete di colpevoli, la perdita di decenza collettiva.
Siamo immersi nel fango e non ce ne accorgiamo nemmeno.
E così la televisione confeziona il dolore con la sua solita cura: luci, sigle, interviste, indignazione a orario fisso. Magari anche qualche applauso preregistrato.
Un processo in diretta, uno spettacolo osceno a puntate, un brutality show travestito da tribunale.
Manca solo il televoto:
Colpevole? Premi 1.
Innocente? Premi 2.
Certo, la cronaca deve informare. Ma ciò che vediamo oggi non è informazione: è pornografia del dolore.
Un miserabile circo che divora giustizia, verità e dignità umana.
Nessuno è davvero indenne da questo Grande Fratello della cronaca nera.
C’è una sete insaziabile di particolari morbosi, perché il dolore, ormai, è diventato intrattenimento per una civiltà morta.
C’è una poesia di Kavafis, Aspettando i barbari.
Nella poesia del poeta greco, le orde arrivano quando una civiltà ha smarrito i propri valori.
Da noi i barbari sono arrivati da tempo. Solo che non vengono da fuori: sono dentro di noi, seduti davanti alla TV, ad aspettare il prossimo processo in prima serata.
Avv. Matteo Fallica