TORREBRUNA – “Gli strani fatti che sto per raccontare si svolsero nel corso di un’estate a Fontamara. Ho dato questo nome a un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago di Fucino, nell’interno di una valle, a mezza costa tra le colline e la montagna. In seguito ho risaputo che il medesimo nome, in alcuni casi con piccole varianti, apparteneva già ad altri abitati dell’Italia meridionale, e, fatto più grave, ho appurato che gli stessi strani avvenimenti in questo libro con fedeltà raccontati, sono accaduti in più luoghi, seppure non nella stessa epoca e sequenza. A me è sembrato però che queste non fossero ragioni valevoli perché la verità venisse sottaciuta. Anche certi nomi di persone, come Maria Francesco Giovanni Lucia Antonio e tanti altri, sono assai frequenti; e sono comuni a ognuno i fatti veramente importanti della vita: il nascere, l’amare, il soffrire, il morire; ma non per questo gli uomini si stancano di raccontarseli. Fontamara somiglia dunque, per molti lati, a ogni villaggio meridionale il quale sia un po’ fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori delle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero e abbandonato degli altri. Ma Fontamara ha pure aspetti particolari. Allo stesso modo, i contadini poveri, gli uomini che fanno fruttificare la terra e soffrono la fame, i fellahin i coolies i peones i mugic i cafoni, si somigliano in tutti i paesi del mondo; sono, sulla faccia della terra, nazione a sé, razza a sé, chiesa a sé; eppure non si sono ancora visti due poveri in tutto identici.”
Ho voluto riportare in premessa queste semplici ma mirabili parole di Ignazio Silone. Nel suo preciso e quasi scientifico affresco del panorama sociale e contadino di Fontamara, Silone riesce a descrivere tutte le realtà rurali e agricole abruzzesi (ma più in generale meridionali). E all’interno di questo solco letterario, ma allo stesso tempo culturale, politico e sociale, si colloca il breve aneddoto tragicomico, quasi commovente, che si tramanda nell’Alto vastese ormai da decenni. Il luogo è Torrebruna, estrema periferia meridionale dell’Abruzzo siloniano, borgo che ai tempi presentava molti punti di contatto con Fontamara: la povertà, il sacrificio, la fatica e il sudore nei campi, le prevaricazioni dei proprietari sui braccianti e sui mezzadri, la voglia di riscatto dalla miseria che si traduceva non tanto in azione politica, bensì in una ancora più indefessa attività lavorativa.
Quindi successe questo… decenni fa un ragazzo (ora anziano), di origini contadine, partì all’alba da Torrebruna per prendere il treno a Vasto e poi emigrare all’estero, come tanti emigranti della povera terra dell’Alto vastese. Il treno arrivò, scese l’autoferrotranviere e urlò: «Signori in carrozza». Il ragazzo non diede peso all’esortazione e non salì.
La scena si ripeté altre volte nel corso della giornata fino a quando il ragazzo decise, a sera, di tornare mogio mogio in paese. Arrivato nel borgo, i compaesani che incrociò gli chiesero sorpresi: «Ma scusa, che ci fai qua? Non dovevi essere in viaggio?» e lui: «Si ma in stazione continuavano a dire “Signori in carrozza”, nessuno ha detto “Cafoni in carrozza”».
di Luigi D’Ettorre