Carne di cinghiale, Recchia: «La cessione diretta di piccoli quantitativi è già possibile».
Il funzionario della Regione Abruzzo fa chiarezza in merito alla delibera che autorizza la commercializzazione degli ungulati.
«Il regolamento CE 853/2004 che fissa norme precise sulla immissione sul mercato delle carni di selvaggina non si applica, attenzione, alla produzione primaria di selvaggina per uso domestico privato, cioè all’autoconsumo da parte del cacciatore, e non si applica nemmeno ai cacciatori che forniscono piccoli quantitativi di selvaggina direttamente al consumatore finale o ai labotaori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o in caso di somministrazione a livello locale».
E’ quanto ha spiegato Franco Recchia, funzionario della Regione Abruzzo nel settore Caccia, nel corso di un recente convegno nel Vastese al quale prese parte anche l’assessore regionale alla Caccia, Dino Pepe.
Nel dicembre scorso la Regione Abruzzo ha varato la delibera n. 823 con la quale sono state approvate le “Linee guida in materia di igiene delle carni di fauna selvatica”, ai sensi dei regolamenti Ce 853/2004 e 854/2004. Quella delibera che di fatto rende possibile la commercializzazione della carne di cinghialeprevede, richiamando ai regolamenti europei, la figura del “cacciatore formato“. La Asl deve organizzare dei corsi, della durata complessiva di appena sei ore, per “formare” i cacciatori interessati, ma da 5 dicembre scorso nessun corso è stato tenuto.
«In realtà l’autorizzazione dei corsi è a carico del servizio veterinario della Asl, mentre sono gli Atc che devono richiedere alla Asl l’attivazione di questi corsi per cacciatore formato» ha precisato Recchia, aggiungendo poi: «Tuttavia, a prescindere da quei corsi, la cessione di piccole quantità di selvaggina è già possibile da parte dei cacciatori».
«Per piccole quantità si intendono tre capi, quindi tre cinghiali a cacciatore nell’arco dell’anno, prelevati a caccia o in controllo. – ha spiegato Recchia – Per cessione diretta si intende infatti la fornitura, da parte del cacciatore, direttamente al consumatore finale o ai lavoratori annessi agli esercizi commerciali al dettaglio o di somministrazione a livello locale, cioè all’interno della provincia e di quelle contermini. L’animale va ovviamente eviscerato e sottoposto ad analisi trichinoscopica. Il dettagliante invece, cioè il macellaio o il ristoratore, è tenuto a segnalare alla Asl competente per territorio la possibilità di utilizzo delle carni di selvaggina cedute direttamente dal cacciatore e conservare copia delle analisi trichinoscopiche ricevute dal cacciatore».
Insomma, in attesa dell’attivazione della filiera vera e propria che permetterà di trasformare le carni di selvaggina in particolare del cinghiale in prelibati insaccati, la cessione diretta di piccole quantità è già possibile, sia presso le macellerie che presso i ristoranti.
«Basta avere una cella frigorifera, che sia stata controllata e censita dal personale della As, dove lasciare l’animale a frollare in attesa dell’esito dell’esame trichinoscopico» ha aggiunto Recchia in chiusura.
Francesco Bottone
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