«27 dicembre 1963: 55 anni fa il Molise si staccava dall’Abruzzo e andava a formare la 20esima regione italiana. Auguri ai fraticugggini: s’ha fatt nott e lu Molise n’arvè».
Il gruppo satirico più cliccato d’Abruzzo, il mitico “L’abruzzese fuori sede“, celebra così, con la frase riportata qui in alto, l’autonomia regionale del Molise e quindi la separazione dall’Abruzzo. Una separazione politica, voluta dalla politica, dalla Dc, al solo fine di moltiplicare le poltrone e quindi le indennità di carica, le piccole rendite di potere locale. Oggi il Molise conta circa trecentomila abitanti, poco più che la sola città di Pescara, ma spende comunque un fiume di denaro pubblico per mantenere una piccola corte di assessori, consiglieri regionali, lo stesso governatore, e tutta una pletora di direttori e dirigenti di enti pubblici e partecipati più o meno inutili. E così anche la satira sui social ironizza sul fatto che il Molise è andato via dall’Abruzzo e non torna ancora indietro, come il famoso maiale citato nel detto abruzzese, dopo ben 55 anni.
Cliccatissimo, ovviamente, il post a tema. Altrettanto esilaranti le risposte e i commenti dei lettori. Giuseppe Listorto da Termoli, ad esempio, scrive: «Vogliamo tornare. Sembre detto. Ci sendiamo soli, la neve lo fa sembre e, sapevatelo, lu porc sta aecc». Irriverente, a tratti blasfemo, tale Atletico Lempa che pubblica la foto degli “arrosticini” seguita dalla frase «In hoc signo vinces». Roberto Accili, poliglotta e anglofono, commenta caustico: «Molisn’t». Decisamente più serioso Fabrizio Scardecchia, che si lancia addirittura in un’analisi politologica: «Fu un grande errore. Insieme oggi contavamo oltre un milione e mezzo di abitanti e avremmo avuto un peso politico maggiore e quindi sicuramente molti vantaggi, anzi con condizioni economiche culturali sociali migliori forse oggi potevamo puntare a due milioni di abitanti. Speriamo un giorno di ritrovarci insieme in una grande macroregione». Su ben altro piano il commento, esilarante, di Andrea Fulgenzi: «Il Molise in fondo è un Abruzzo che non ci ha creduto fino in fondo». Silvia Cellini, evidentemente democristiana, chiosa: «Oltretutto lo zio Remo avrebbe aiutato pure voi e male che andava finivate a lavorare alle Poste», evocando una certa “politica del posto fisso” in voga nel periodo d’oro di Remo Gaspari, che partito da Gissi scalò le più alte vette delle istituzioni dello Stato fino ad essere più volte Ministro, quando i ministri venivano ancora chiamati “eccellenza” e facevano davvero il bello e cattivo tempo. Dall’Alto Molise Raffaella Tania Fortunato dichiara: «Nu vulem’ armnoje ( l’Alto Molise vuole tornare)». Su posizioni imperialiste Vittorio Ramundi: «Potremmo organizzare un’invasione di massa e riconquistarla. Il nostro stemma ovviamente la rostella». Giovanni Leppi è senza appello: «C’hanno tradito, nzi tosce». Gianfranco Di Carlo riflette: «Peccato che si sono lasciate le province 4 e 2. Si poteva fare 3 e 3 e tutti erano più contenti», compresi i vari Mario Pupillo e Lorenzo Coia. Francesca Subrizi richiama tutti alla realtà: «L’unico modo è il referendum d’iniziativa popolare. 500mila firme e si fa». E Fabio Roscioli, quasi incredulo, chiede: «Ma allora esiste?». E per finire Francesca Galeazzo emette la sua sentenza: «Almeno l’alto Molise avessa ess Abruzz».
a cura di Francesco Bottone