Un danno di immagine incalcolabile, una sorta di boomerang che rischia di danneggiare un comparto trainante per le zone interne. Sono alcuni degli effetti collaterali delle uccisioni per avvelenamento dei cani da tartufo. Perché a morire non sono stati solo gli animali, ma anche un pezzo dell’economia di zona, addirittura il futuro del comparto.
«In mezzo a molto altro provo a riflettere su questa notizia, sulla sua apparente perifericità. Dei cani, dei tartufi, dei cercatori, un mercato alimentare. Quello che da un lato si patrimonializza, torna come criticità e come conflitto». Il commento e l’analisi sociologica su quanto accaduto arrivano dalla professoressa Letizia Bindi, docente dell’Università del Molise e curatrice del dossier per la candidatura di Agnone a capitale della cultura. Da tempo si occupa di Alto Molise e di aree interne più in generale e l’avvelenamento di cani da tartufo a San Pietro Avellana deve averla scossa.
«Avvelenare per difendere privilegi. Giocare sporco sulla natura con una mano e con l’altra e con le parole esaltare la biodiversità e il valore identitario. – aggiunge Letizia Bindi – Il boccone avvelenato che mangia futuro al proprio stesso territorio. Avvelenati di mercato, avvelenati di conflitto. I cani uccisi sono una metafora imperfetta o perfetta, a pensarci bene, del fallimento di un patto. Tra noi e la terra, tra noi e il respiro. Dobbiamo tornare a capire la complessità del nostro mondo fragile. – chiude la docente – Solo una sensibilità piu fine, acuita può portarci su un altro livello della comprensione e delle pratiche».