Nei giorni in cui il presidente della Provincia di Isernia, Daniele Saia annuncia la partenza dei lavori di consolidamento del viadotto ‘Sente-Longo’, dagli archivi del senatore Remo Sammartino riemerge la progettualità di un’opera apparentemente irrealizzabile che vide la luce solo grazie alla perspicacia, la determinazione e lungimiranza dell’uomo e politico di razza che aveva a cuore il futuro delle aree di montagna a cavallo tra Molise e Abruzzo. Una infrastruttura imponente capace di collegare le sponde del fiume Sente per favorire gli scambi economici e sociali delle popolazioni residenti.
Un’impresa ardita alla quale nessuno credeva ma che Sammartino, nel corso di qualche anno, riuscì a tradurre in realtà grazie agli ottimi rapporti coltivati nei palazzi romani con colleghi di partito, dirigenti e funzionari di Anas. Quando il viadotto ‘Sente’ fu ultimato risultò essere il ponte più alto d’Europa, struttura ingegneristica all’avanguardia che fece scuola nelle Università del Paese. Ripercorriamo allora il parto di un’idea che oggi sarebbe impensabile in particolare se si pensa alla poca attenzione che le istituzioni rivolgono alle aree interne.
“Nell’autunno del 1968, si ripresentava, questa volta in dimensione straordinaria – esordisce nel suo scritto Sammartini – la frana a monte del fiume Sente, eterna calamità delle zone tra Agnone e Castiglione Messer Marino, la cui origine risale alla fine del secolo scorso. Ad ogni ritorno di tale movimento, che ha più la faccia del terremoto che quella di un semplice smottamento di terra sia pure voluminoso, quassù si ferma la vita. Sì, perché la frana sconvolge il piano viabile della strada statale Istonia, arteria unica, che, attraversando l’abitato di Agnone, porta movimento d’affari e convergenza di interessi, assolutamente vitali per la modesta economia del luogo. Non è una novità infatti, affermare che l’economia agnonese si nutre del concorso delle popolazioni dell’alto Chietino, senza le quali, il commercio locale cade nello stagno. Quell’anno la frana bloccò tutto. I commercianti dichiararono concordemente chiusura di esercizio e domanda di esonero dai tributi di legge. Le opere di rabberciamento consueto della frana non servivano più. Era invalso il giudizio, non tutto errato, secondo cui la frana – prosegue il politico della Dc – ricorrente con puntualità incredibile, si traduceva in una manna dal cielo per qualche impresa locale, chiamata subito a gettare pietrame e colmare i fossi. Il problema sarebbe stato finalmente risolto soltanto decidendo di aggredire il percorso della Istonia spostandolo coraggiosamente su altro sito. La visione, che in quelle circostanze si faceva prepotente nel cervello, era un puro sogno, se si pensa che in nessuna carta ufficiale – e quanto meno nel testo stampato dal Comitato regionale per la Programmazione Economica – era scritta una sola parola che ci facesse sperare in qualche futura attenzione sulla statale Istonia. Essa sarebbe dovuta rimanere così come ce l’avevano lasciata i Borboni. Andare a chiedere, allora, la radicale trasformazione della nostra strada, con dispendio di cifre che avrebbero toccato vette da miliari, appariva azione disperata. Io peraltro la tentai, giurando fallimento. Chiesi di essere sentito dal direttore generale di Anas, l’ingegnere Ennio Chiatante. Vi andai con semplicità e convinto solo di adempiere ad un grosso dovere del mio pubblico mandato. La visita, carte topografiche alla mano, fu serena, la conversazione chiara senza fronzoli. Fu la esposizione del politico al tecnico. L’alto funzionario ascoltò con molto interesse; si riservò uno studio approfondito del problema e ci lasciammo per un nuovo incontro. Intanto, tenni al corrente il nostro Compartimento, perché si fosse tenuto pronto per la richiesta di notizie e, credo, di proposte”.
Nel frattempo a dicembre dello stesso anno Sammartino fu nominato Sottosegretario ai Trasporti. “Non fu il più lieto dei miei Natali – rimarca il politico agnonese – perché la frana sul Sente aveva gettato nella esasperazione i pubblici esercenti, che mi passavano davanti col muso lungo. Il 5 gennaio 1969, ero però di nuovo dal direttore generale. Telefonai dal mio ufficio del Ministero, chiedendo un incontro. Quella sera trovai il capo dell’Azienda delle Strade Statali in stato di grazia. Non mi consentì di allungare il discorso. Mi chiese di scegliere liberamente un tecnico di fiducia, che si presentasse a lui, anche l’indomani, al quale affidare lo studio preliminare del problema. La proposta mi lasciò senza saper dire grazie. La testa mi bolliva anche perché l’idea di dovere scegliere – io ed io soltanto – un tecnico per la bisogna mi aveva lasciato come avvolto nelle nebbie di un sogno. Tornai al mio Ministero. Scegliere io il tecnico per un’opera che sognavo grandiosa ed inusitata da queste parti? Al mio paese, allora i tecnici erano tutti appena laureati. Il problema che ci stava davanti esigeva invece un professionista già aperto ad esperienze difficili. Solo così meditando, rivolsi il pensiero allo studio tecnico che stava progettando, per la Cassa per il Mezzogiorno, uno dei tronchi della superveloce del Trigno: lo studio degli ingegneri Nicola e Giorgio Zaccardi di Campobasso. Li pregai di venire subito a Roma, da me, al Ministero dei Trasporti, per una comunicazione urgente. Era il 16 gennaio, il giorno dopo, quando, venuto da me l’ing. Giorgio lo mandai da Chiatante preceduto da una mia telefonata. Dopo un’ora – scrive ancora l’esponente della Democrazia Cristiana – era nuovamente da me ed incredulo, mi disse: ho avuto l’incarico di predisporre il progetto di massima; tre soluzioni tra le quali scegliere quella più utile e, se possibile, meno onerosa. lo stesso ero, nella felicità, frastornato. Naturalmente, non tacqui al tecnico prescelto, il mio pensiero sulla migliore soluzione dell’annoso problema. Il pensiero si condensava in queste proposizioni: abbandono del vecchio tracciato, onde evitare l’area in perpetua frana; fare in modo che il nuovo tracciato evitasse percorsi particolarmente interessati dalle precipitazioni nevose e, quindi, dai geli; attraversamento del Sente in zona ravvicinata all’abitato di Belmonte del Sannio. E ci lasciammo. Qualche mese più tardi, volli vedere da vicino il progetto di massima in corso ed andai allo studio Zaccardi. Vidi le tre soluzioni ma, ad un tempo, mi resi conto che la non famigliarità dei siti consigliava di affiancare agli illustri tecnici del capoluogo un tecnico che conoscesse le altitudini, i punti critici degli accumuli nevosi, la forza dei venti invernali. E feci nominare Raffaele Cicchese, agnonese, che contribuì a dirottare gli orientamenti progettuali verso quello, secondo me, ideale: l’attraversamento del Sente all’altezza dell’abitato di Belmonte del Sannio. Impresa senza dubbio ardita, ma da tentare senza esitazioni. Allora o mai più. Il 13 gennaio 1972, il progetto esecutivo della grande variante veniva portato alla Direzione Generale dell’Anas dal capo Compartimento del Molise (ing. Marzi), per essere sottoposto al Consiglio di Amministrazione. La decisione fu quella auspicata: la costruzione di un grande viadotto sul fiume Sente, a sud dell’abitato di Belmonte. Sarebbe nato il più alto viadotto stradale d’Europa. Rivedo la folla di quei cittadini, con alla testa il sindaco, comm. Biondino Rosa e l’arciprete don Vincenzo Zaccardi, a casa mia, la sera dopo il mio rientro da Roma. Era il 27 ottobre. La notizia, che, oltre tutto, la imponente infrastruttura avrebbe rasentato l’abitato di quel Comune ove finiva il mondo togliendolo quindi dall’isolamento, aveva fatto letteralmente impazzire di gioia ogni casa, ogni famiglia. Il 20 dicembre 1972, il Ministro dei Lavori Pubblici, Nino Gullotti mi telegrafava l’avvenuto appalto dell’opera, per l’importo di 4.160.000.000 di lire. La ditta che se l’era aggiudicata, figurava tra le primissime imprese di costruzione: Callisto Pontello di Firenze. La dimensione dell’opera e del suo costo erano un fatto talmente nuovo per le popolazioni delle mie montagne, che la gente ancora oggi non ci crede. Mentre, alcuni mesi dopo, nasceva l’imponente cantiere tra Agnone e Belmonte del Sannio io sognavo. Sognavo il viadotto sul Verrino e la galleria del valico dei ‘Tre Termini’”, conclude nel suo scritto Sammartino.