«E io lo dico alla maestra!». Dicevano così, i bambini dell’asilo e della scuola elementare, quando bisticciavano con i propri amichetti tra i banchi delle aule. Era un appellarsi all’autorità costituita. La maestra, un’entità quasi soprannaturale, giudice in terra, o meglio a scuola, del bene e del male.
Forse i bambini lo fanno ancora, anche se adesso non litigano nemmeno più perché troppo impegnati a rincoglionirsi sugli smartphone. E quell’abitudine di appellarsi all’ordine costituito, ad una qualsiasi autorità, a volte rimane impressa nel carattere anche quando si cresce e, almeno anagraficamente, si dovrebbe essere maturi.
Tra adulti le questioni si dovrebbero risolvere parlando, chiaramente e nel rispetto dei ruoli. Invece qualcuno, forse nel tentativo di mostrare i muscoli o magari tentare di intimorire i cronisti locali, preferisce adire una di quelle autorità di cui sopra.
Senza scomodare la Procura, almeno per il momento, ci si lamenta frignando addirittura con il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Molise, chiedendo l’intervento dello stesso in modo da addolcire le cronache spigolose ritenute evidentemente dannose per la propria carriera politica.
In uno Stato liberaldemocratico dell’Occidente funziona così: la stampa non è soggetta ad autorizzazioni o censure. Non c’è autorità che tenga; nemmeno il venerabile presidente dell’Ordine dei giornalisti. Il politico, o presunto tale, fa il suo mestiere; la stampa osserva e commenta, liberamente, nel ruolo di “cane da guardia” della democrazia, rispondendo solo di eventuali violazioni di legge.
E’ la stampa bellezza!
Francesco Bottone