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  • Monsignor Iacovetta, il ricordo di don Fangio: “Prete semplice ma dalla profonda umanità e intelligenza”

    Don Mario Fangio, neo vicario generale della diocesi di Trivento, ricorda monsignor Antonio Iacovetta, parroco di Pescopennataro scomparso di recente all’età di 98 anni. In una lettera inviata in redazione, don Fangio tratteggia la figura del parroco, nativo di Villa San Michele (Vastogirardi), quale persona umile, semplice ma al tempo stesso dai grandi valori e azioni concrete sempre al servizio della collettività.

    Monsignor Iacovetta, per tutti don Antonio, parroco per 60 anni a Pescopennataro, ed ora parroco emerito, il 12 settembre è tornato alla casa del Padre celeste, a continuare quella liturgia divina celebrata quaggiù da fedele, umile sacerdote di Cristo – esordisce don Fangio -. Se n’è andato senza parole e discorsi altisonanti di circostanza, ancora nel “nascondimento” e nella semplicità della “normalità“. Ma io ne ho una grande stima, e non mi piace che se ne vada così, senza che rimanga tratteggiata la sua figura, e le doti sacerdotali e umane che sono grandi. Mi sono accostato spesso a lui nel sacramento della Confessione, traendo profitto e gustandomi la sua spiritualità, manifestata in parole semplici, che lasciavano intuire la profondità sorprendente di una vita vissuta nella fede e nell’esercizio del sacerdozio. Fede e servizio fraterno vissuti nelle problematiche dei nostri piccoli paesi degli anni ‘50, alle prese con i problemi di lavoro, di scolarizzazione, povertà, assenza di servizi e strutture, caratteristici di quel periodo post-bellico – sottolinea ancora don Fangio -.

    Fede e servizio vissuti per 60 anni nella stessa parrocchia, nella vicinanza alle persone, nel consiglio capace di smussare gli angoli troppo acuti delle relazioni interpersonali con una battuta di spirito, piena di contenuto umano ed evangelico, e di genuina ilarità. Ilarità semplice e spontanea, di getto, capace di raggiungere senza rispetto umano, ma senza mancare di rispetto, interlocutori di ogni grado, perfino il Papa Benedetto XVI, quando con una battuta si sentì dire dal nostro don Antonio che entrambi erano accomunati dalla vecchiaia. Affezionato alla sua parrocchia, vi è rimasto anche quando non era più attivo, e poi impedito del tutto. Fedele al presbiterio, a cui si sentiva legato, era sempre presente nelle sue periodiche riunioni. E noi sacerdoti ci siamo abbondantemente divertiti con le sue argute battute e i coloriti episodi di vita paesana da lui vivamente narrati. La sua semplicità – conclude – poteva portare lo sprovveduto interlocutore alla conclusione di trovarsi di fronte ad un “sempliciotto prete di campagna”, ed invece era astuto, profondo, solo si esprimeva in modo semplice, che è la caratteristica dei “grandi”. Non la dabbenaggine di un povero prete, ma la semplicità di un grande prete.

                         

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