Libertà, eguaglianza e fraternità sono i tre principi che la cultura illuminista ha individuato per costruire una società il più possibile orientata alla giustizia sociale.
Sono ideali per la verità solo in minima parte realizzati storicamente e tra l’altro anche a macchia di leopardo a livello territoriale.
Il marxismo e il pensiero anarchico hanno poi individuato le cause fondamentali delle diseguaglianze nella struttura dei sistemi socio-politici e nei criteri di produzione.
Ci siamo già in parte occupati qualche anno fa del tema, ma oggi siamo davanti a nuovi e preoccupanti dati.
In realtà occorre rilevare che le ragioni fondamentali di tale fenomeno vanno ricercate non , come sostengono alcuni, nelle differenze di merito e di capacità o di responsabilità ma nella costruzione e gestione del potere, nelle forme di divisione delle mansioni lavorative, nella distribuzione del reddito tra salari, profitti e rendite, nei meccanismi di selezione e stratificazione sociale a qualsiasi livello, nella liberalizzazione senza più regole del mercato del lavoro, nella globalizzazione dell’economia e non da ultimo nell’inganno del debito sia in forma individuale che statale.
Le diseguaglianze esprimono la disparità tra le persone nelle condizioni di vita e, ad eccezione di rare forme di convivenza egalitaria tra i soggetti di alcune comunità, sono sempre esistite in quasi tutte le strutture economiche e sociali.
La sproporzionata differenza reddituale tra le persone determina evidentemente una correlazione con l’accesso all’istruzione, alla cultura, alla sanità, ai servizi e ovviamente all’aspettativa di vita.
I dati attuali sono impressionanti e ci dicono che poco più di duemila miliardari possiedono l’86% della ricchezza prodotta nel mondo mentre il 14% è in mano alle classi medie e quasi quattro miliardi di esseri umani ne sono pressoché esclusi.
La concentrazione del benessere e dell’opulenza si accentua ovviamente soprattutto nei grandi Paesi industrializzati.
In ogni caso i salari crescono senza interruzione per manager e professionisti mentre i lavoratori non qualificati vengono pagati sempre meno.
I redditi da capitale stanno diventando per alcuni nettamente più elevati di quelli da lavoro tanto che la composizione del PIL è fatta sempre più da profitti e rendite.
Ci sono imprenditori che superano annualmente il miliardo di dollari in dividendi mentre un operaio in Bangladesh percepisce un salario annuo di novecento dollari.
L’aspettativa di vita di un abitante dell’Italia è superiore di trent’anni rispetto ad uno del Ghana.
Mentre a livello mondiale le disuguaglianze tra gli Stati hanno visto una qualche diminuzione, si sono al contrario accentuate tra gli abitanti di uno stesso Paese.
In Italia le persone a rischio povertà sono ormai al 30% e quelle che mancano dei mezzi minimi di sussistenza sono il 12% cosicché insieme a molti Paesi europei abbiamo un livello molto elevato di disuguaglianza economica al contrario di Svezia e Danimarca dove l’indice relativo è molto più basso.
La recessione in atto peggiorerà ovviamente la situazione come sta dimostrando già il venir meno di molti servizi di quello che una volta era da noi forse uno dei migliori welfare.
Viviamo in una società che da secoli, nella più assoluta assenza di contestazione radicale, tollera caste o lobbies economiche che si costruiscono giardini dorati di privilegi scandalosi.
Il populismo di taluni movimenti e forze politiche ha immaginato di poter far fronte al problema attraverso l’ennesima forma di assistenzialismo come il “reddito di cittadinanza” mentre abbiamo al contrario bisogno d’intervenire in modo coordinato e risolutivo sulle diverse determinanti delle disuguaglianze che abbiamo cercato d’individuare.
Del tema si sono occupati grandi economisti come Thomas Piketty e politici come Bernie Sanders e Jeremy Corbyn.
Ultimamente in Italia il “Forum Disuguaglianze Diversità” ha cercato di rimediare alla mancanza di un dibattito articolato in merito formulando “15 proposte per la giustizia sociale”.
Ispirandosi alle tesi dell’economista Anthony Atkinson il Forum suggerisce iniziative politiche che a noi sembra si debbano analizzare sia pure nella loro limitatezza.
In sostanza in un’ottica più riformista che rivoluzionaria si propongono accordi internazionali per uno scambio più libero di conoscenze scientifiche e un accesso più adeguato ai farmaci, una modifica degli algoritmi delle grandi società per classificare le persone, l’introduzione di un salario minimo di dieci euro, un aumento delle tutele e del potere negoziale dei lavoratori, la democratizzazione del governo delle imprese con il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori e dei consumatori negli organismi di amministrazione, una riforma dell’imposta di successione con una soglia di esenzione di 500.000 euro e una tassazione progressiva sempre più elevata, una “eredità universale” pari a 15.000 euro per ogni cittadino giunto alla maggiore età come criterio di equità tra le diverse generazioni.
Noi pensiamo che alla base di una serie sensata di proposte vada immaginata anzitutto una riforma tributaria impedendo i paradisi fiscali, rendendo sempre più proporzionale la tassazione e aggredendo soprattutto le rendite non tanto da piccolo risparmio ma da speculazione.
Occorre poi lavorare seriamente sul tema della piena occupazione che ci pare l’unica vera strategia per combattere l’ineguaglianza delle opportunità e che intanto costituisce una soluzione adeguata quantomeno per l’eliminazione dell’indigenza di tante famiglie.
È un tema di cui si parla da anni ma che nessuna forza politica ha la voglia o il coraggio di affrontare.
Dopo aver creato appunto diseguaglianze abissali non sembriamo possedere non solo il senso della condivisione, ma neppure i sentimenti della solidarietà o quantomeno della pietà.
Forse dobbiamo capire che il Pianeta non potrà sopravvivere a questa follia della ricchezza a tutti i costi.
Occorrerà davvero operare sul piano politico per una rivoluzione socio-economica, ma contestualmente servirà un’operazione culturale di ampio respiro per costruire una nuova antropologia capace di vedere in modo positivo e solidale i rapporti umani e di spingerci ad una civiltà dell’essere piuttosto che alle logiche dell’avere per parafrasare il famoso saggio di Erich Fromm.
Allora, se servono a creare eguaglianza, ben vengano la statalizzazione di alcuni sistemi produttivi, una loro collettivizzazione o ultimamente talune forme di economia sociale o di municipalismo libertario teorizzati da Murray Bookchin.
Sono sicuramente alcune delle forme di struttura sociale avanzate per il superamento delle diseguaglianze e una difesa da un neoliberismo selvaggio che non sembra avere più nulla di umano.
Non potremo continuare a vivere in un mondo di iniquità perché il potere finanziario dei mercati a danno degli esclusi, degli “scartati” come li chiama papa Francesco, non solo provoca conflitti, guerre, morti per fame, ma sta distruggendo i diritti fondamentali della persona e quel poco di sistema democratico che abbiamo impiegato secoli a costruire.
Un fenomeno impressiona davvero negativamente.
Le grandi forze politiche che un tempo affrontavano i problemi esistenziali dei deboli e lottavano contro l’iniquità di sistemi economici perversi sembrano essersi squagliate nel nulla o meglio progressivamente svanite verso posizioni neoliberiste come dimostra chiaramente la vicenda della trasformazione graduale di taluni partiti della sinistra storica in Italia.
Ci rifiutiamo di pensarlo, ma, a parte banali e sporadici ritorni di inviti alla riflessione da parte di apprezzabili gruppi di coerenti idealisti o di ormai marginali movimenti di lotta per la pace, la sostenibilità ambientale e i diritti umani, la stragrande maggioranza della popolazione sembra attratta se non addirittura sedotta dai principi e dai canoni della società borghese neoliberista.
L’emblema della rivendicazione dell’eguaglianza delle opportunità come esigenza di identiche condizioni di vita per tutti e per chiunque ci appare oggi papa Francesco che in tale direzione ha alle spalle il messaggio evangelico di quel Gesù di Nazareth che il principio di condivisione non lo ha solo predicato, ma testimoniato con il suo stile di vita.
Di tali aspetti si occupa in maniera intelligente il nuovo film di Ken Loach “Sorry we missed you” appena uscito nelle sale in cui si spiega perché nelle politiche sociali la sinistra ha fallito e come occorra ribellarsi alla deregulation del mondo del lavoro da parte di un capitalismo intollerabile e sempre più pericoloso per la convivenza tra gli esseri umani.
“Sull’inferno della Gig economy – ha dichiarato il regista nella conferenza stampa di presentazione della sua nuova opera – i consumatori hanno bisogno di un esame di coscienza per uscire dalle logiche di un’economia assurda fondata unicamente sui canoni del consumo e del profitto“.