In molte parti del suo discorso ci ha ricordato Mons. Antonio Santucci, l’ex vescovo della diocesi di Trivento che non aveva paura di dire la sua a difesa dei cittadini e contro la politica imperante. Questa volta il plauso è per il Vescovo di Isernia, Cibotti, che, nel suo intervento a cospetto del Papa Francesco, senza mezzi termini, ha parlato anche di una sanità pubblica sotto attacco e di una classe governante poco attenta ai bisogni della gente. Non un mero passaggio ma il punto chiave del discorso del Presule isernino che ha edotto il Sommo Pontefice sulle vere sofferenze della gente. Su ciò che davvero la popolazione chiede. Come avremmo voluto sentire le stesse parole dal vescovo di Trivento Scotti che invece (lui senza possibilità di interloquire col Papa) è stato sempre a seguito con tutto il clero ad ogni spostamento del Santo Padre in terra molisana. Magari avremmo gradito che Scotti lasciasse una lettera, un documento che rispecchiasse il dire del suo “collega” Cibotti. Che in qualche modo avesse potuto dire a Bergoglio di come l’area della diocesi di Trivento e snaturata dei servizi essenziali; di quanto i cittadini siano stanchi e trattati diversamente da quelli delle aree più fortunate della Regione. Di come si cerca di difendere quel poco che si ha ma quasi inutilmente. Che i veri “poveri” oramai sono quelli che abitano le aree interne. Quelle depresse, abbandonate e depauperate. Cibotti, se avesse voluto, non avrebbe parlato di sanità; non avrebbe avuto bisogno di evidenziare una classe politica che da rasoiate a desta e manca.; avrebbe potuto salutare e dare il benvenuto al Pontefice in maniera molto soft. Ed invece la vera essenza della visita papale sta tutta dentro le parole del Vescovo di Isernia. Che in pochi minuti ha accattivato le simpatie anche degli alto molisani. Ma solo di quelli che hanno compreso il dire del Vescovo isernino e che conoscono davvero bene le piaghe sanguinanti dell’Altissimo Molise, dell’ospedale San Francesco Caracciolo e di chi ancora non sbatte i pugni sul tavolo rinunciando ad incarichi e fasce per difendere i propri cittadini ed il proprio territorio.
di Vittorio Labanca