Lente d’ingrandimento puntata sul mondo del giornalismo molisano, un universo fatto di precariato, di sfruttamento della professione giornalistica, di inciuci e connivenze con il potere politico, dove una testata storica chiude nel silenzio più assordante dell’intera classe politica regionale. In occasione del suo trentanovesimo compleanno, che cade proprio oggi, abbiamo deciso di fare qualche domanda su questi temi specifici a Francesco Bottone, direttore di www.altomolise.net, che ben conosce, per averlo vissuto sulla propria pelle, il mondo del precariato giornalistico. Un’intervista scoppiettante, che mette il dito nella piaga del giornalismo precario e della qualità dell’informazione.
Francesco, quando hai capito che il giornalismo sarebbe stato il tuo futuro? Che strada hai percorso per arrivare fin qui?
“Dunque, subito dopo la laurea ho iniziato a scrivere facendo l’addetto stampa di me stesso. Nel 2004 sono stato eletto consigliere comunale e inondavo l’etere di comunicati stampa relativi alla mia attività politica. Da addetto stampa di me stesso a giornalista il passo è stato breve. Ho iniziato a collaborare con un mensile che si occupava di tematiche ambientali ‘Park News’, poi con ‘Abruzzo Oggi’ e con ‘Nuovo Molise’. Parallelamente è iniziata la mia collaborazione con alcune testate on line. Da corrispondente dal Vastese, l’allora caporedattore di “Nuovo Molise” Pino Cavuoti mi volle in redazione. Regolarmente contrattualizzato dalla società editrice facente capo al senatore Giuseppe Ciarrapico, ho lavorato nella redazione di Isernia per alcuni anni, inquadrato come redattore ordinario. Nonostante tutte le voci che circolano contro Ciarrapico, almeno la sua società editrice i contratti giornalistici li faceva. Sembra paradossale, ma nel mondo dell’editoria in Molise si rimpiange Ciarrapico. Poi quel giornale fallì, nel giugno del 2010, a causa di un sequestro preventivo disposto dalla Procura di Roma per presunti illeciti sul finanziamento pubblico ai partiti. Restai, insieme a decine di altri colleghi, senza lavoro, ma grazie ai contratti che Ciarrapico ci aveva fatto, beneficiammo tutti degli ammortizzatori sociali. Poi spuntò una nuova cordata di imprenditori, sedicenti editori, e rinunciando a due anni di disoccupazione erogata dall’Inpgi, accettai, insieme ad altri pirla come me, di tornare lavorare in quello che poi sarebbe diventato il quotidiano “I fatti del Nuovo Molise”, proprio quello che ha chiuso i battenti qualche giorno fa, lasciandoci tutti a casa, senza stipendio e soprattutto senza alcuna tutela né ammortizzatore sociale perché tutta la redazione, o quasi, si è retta, per anni, inspiegabilmente, con dei contratti co.co.co.”.
Questa è una triste verità del settore che brilla di una lice scintillante fuori, ma è colmo di precariato e sfruttamento all’interno. Perché secondo te l’editoria è in crisi? Quali potrebbero essere le soluzioni per salvare questo mondo?
“L’editoria è in crisi perché i lettori trovano tutto e subito su internet. Perché dovrebbero comprare il giornale in edicola quando conoscono già le notizie per averle lette su internet? Tra l’altro gratis. Ma attenzione, la colpa è anche degli editori. Qui il discorso si fa troppo tecnico e rischiamo di annoiare chi ci legge. Diciamo solo questo: i giornalisti non sono persone che scrivono così, per passare il tempo. Sono lavoratori e dunque andrebbero pagati come tutti gli altri, come chi fa le mozzarelle, come chi impasta il cemento, come chi insegna o fa qualsiasi altro lavoro. Invece gli editori, soprattutto qui in Molise, credono che il giornalismo sia una sorta di hobby. Quanti giornalisti, in Molise, hanno un regolare contratto? Esclusi quelli Rai, dei privilegiati, forse il 90 per cento dei colleghi vive la situazione, a me ben nota, del precariato. Quattro spiccioli, senza contratto e tutele sindacali o previdenziali, per svolgere mansioni che nemmeno sarebbero di competenza. Un esempio pratico, il mio: per “I Fatti” ho scritto notizie, come richiesto dal mio contratto di collaborazione, ma ho anche disegnato decine di pagine, le ho titolate, le ho passate in tipografia, ho scritto le locandine e addirittura ho disegnato e titolato diverse decine di prime pagine. Quindi mansioni da caporedattore o vicedirettore, non certo da semplice collaboratore co.co.co. Il tutto per un compenso che alla fine era sceso a 540 euro mensili. Tra l’altro, come ho già detto, negli ultimi nove mesi non me li hanno più dati.”
Come ti senti, quarantenne e con una famiglia e tre figli, a vivere questa situazione da precario?
“lo sono un lavoratore precario. Anzi, a dire il vero lo ero, da qualche giorno sono semplicemente disoccupato, senza lavoro e senza stipendio. Non si sta bene, posso assicuratelo. Si prova frustrazione e rabbia. La rabbia perché hai investito nella cultura e nella formazione, ti sei laureato, hai fatto la gavetta nelle redazioni, ha studiato per superare l’esame da giornalista professionista. E tutto questo per cosa? Per guadagnare quattro spiccioli quando va bene e per restare disoccupato poi. La tragica realtà, in Italia, è questa: la cultura e la preparazione non sono direttamente proporzionali alla realizzazione professionale e al benessere economico. E in qualche caso, come nel mio, non parliamo di benessere economico, ma di vera e propria sussistenza”.
Dici che i giornali vendono di meno a causa della rete. Secondo te Internet è la causa di tutti i mali o una soluzione intelligente per il domani?
“Non parlerei di causa ed effetto. Il web è il futuro dell’informazione, ma è ancora difficile comprenderne le reali potenzialità. Dirigo da qualche anno un seguitissimo giornale on line, questo per il quale tu scrivi. Facciamo duemila contatti singoli di media giornalmente, con tre o quattromila pagine ricaricate. Vista la realtà territoriale nella quale operiamo è un successone. Bene, nonostante questi numeri, abbiamo difficoltà a reperire pubblicità, a vendere spazi pubblicitari. L’imprenditore di zona è più propenso a comprare uno spazio pubblicitario su un giornale cartaceo, che se va bene vende cinquecento copie in edicola, piuttosto che comprare, magari anche ad un prezzo minore, uno spazio sul web, dove ogni giorno ci sono duemila accessi singoli, duemila lettori, con diverse migliaia di pagine ricaricate. Se ci pensi è una sciocchezza, un nonsenso, però succede. Delle due l’una: o gli imprenditori sono idioti e buttano i soldi, oppure non hanno ancora compreso la potenzialità di un giornale on line come vetrina mondiale per le proprie attività. Altomolise.net non prende finanziamenti pubblici, si regge, a stento, con le pochissime pubblicità. Fino a quando ce la faremo a tirare avanti lo faremo, ma senza acqua la papera non galleggia, come è ben noto”.
Tu sei l’esempio lampante della situazione che vive questa categoria. Anni di studio e di gavetta. Poi l’iscrizione all’ordine nella speranza di stabilità. Proprio l’ordine è spesso sotto accusa in questi tempi di crisi lavorativa ed economica. Tu cosa ne pensi dell’ordinamento professionale?
“L’albo dei giornalisti, a mio giudizio e come ho già scritto in passato su queste colonne, andrebbe abolito. E’ inutile, un carrozzone che serve solo a perpetuare piccole o grandi rendite di potere ai soliti noti. Tra l’altro è una stranezza tutta italiana, un retaggio del corporativismo fascista. E in alcuni casi, anche se sembra un paradosso, un ostacolo alla libertà di espressione. Pensa all’ordine del Molise. Tu credi che il presidente Antonio Lupo o gli altri componenti del consiglio non conoscano la situazione di assoluto precariato in cui versa il settore del giornalismo molisano? Sanno o no che ci sono interi giornali che vanno avanti solo perché i giornalisti accettano compensi da fame erogati anche con sei o più mesi di ritardo? Se non sanno queste cose vuol dire che vivono su un altro pianeta. E se lo sanno, boh, vuol dire che sono corresponsabili di ciò che avviene. Rispetto allo sfruttamento della professione giornalistica in altre regioni d’Italia si stanno muovendo le procure. Qui in Molise? Nessuno sa niente, tutto va bene, si tira a campare. E lo ripeto, l’ho già scritto, la colpa è anche di noi giornalisti che permettiamo ad editori senza scrupoli di sfruttarci”.
Questo sarà un compleanno particolare per Francesco Bottone, che è passato dalla difficile condizione di precario a quella di disoccupato. Intonare per lui ‘Buon compleanno’ è un obbligo e un piacere, ma in questa sede si voleva soltanto rendere giustizia a tutti coloro i quali tentano di vivere scrivendo, facendo informazione, facendo opinione, difendendo con la penna i diritti di un territorio e di una popolazione. Non è solo un profilo biografico di un singolo, bensì uno spaccato dell’intera categoria. Seppur in bilico tra la sopravvivenza e la rovina economica, alcuni di loro continuano a lavorare per portare alla luce la verità. Bene, allora quale miglior augurio se non quello di essere retribuiti per le proprie fatiche?