Tempo fa, qualche mese fa per l’esattezza, inviai la foto pubblicata qui accanto al presidente dell’ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, e per conoscenza al presidente nazionale Enzo Iacopino.
Il testo a corredo della foto era questo:
ciao presidente,
in allegato una mia foto che potrebbe essere l’emblema del precariato nel mondo giornalistico.
l’immagine mi mostra mentre, da casa mia, controllo e passo le pagine in tipografia (quindi svolgendo mansioni almeno da caporedattore centrale) per l’edizione del giornale di domani, il tutto mentre mangio una “pallotta cacio e uova”. E tu di pallotte te ne intendi, presumo, visto il nome 😉
Solo per notizia, ho un contratto co.co.co a tre mesi che prevede un compenso mensile di 540 euro (nei giorni scorsi mi hanno saldato la mensilità di dicembre, hai letto bene, dicembre).
un abbraccio
Quella foto ormai è scaduta, nel senso che non sono più precario. No, non sono stato stabilizzato, ma dalla precarietà sono regredito allo stato di senza lavoro, disoccupato, chiamatelo come vi pare. Teoricamente il mio contratto co.co.co. con I FATTI DEL NUOVO MOLISE, reiterato di tre mesi in tre mesi, scade domani, ma sull’edizione di oggi del quotidiano per il quale ho svolto mansioni da vicedirettore (ho disegnato e titolato decine e decine di prime pagine, chiudendo il giornale quando il direttore era impossibilitato a farlo), ho trovato un editoriale dal titolo chiarissimo ed inequivocabile: ADDIO. Un fatto già noto per noi della redazione, ma il direttore Pino Cavuoti ha voluto salutare i nostri lettori mettendoli al corrente del fatto che dopo quattro anni e oltre novecento uscite, da domani non saremo più in edicola.
Non essere più in edicola è un garbato eufemismo per dire che i miei colleghi ed io non abbiamo più un lavoro. E’ deprimente, ma in realtà, a pensarci bene, le cose per noi cambiano poco. Dallo scorso mese di dicembre, infatti, non abbiamo più percepito lo “stipendio”, quei famosi 540 euro mensili, almeno nel mio caso. Quindi da domani non abbiamo più un lavoro, ma in realtà da nove mesi non siamo più pagati nonostante tutti i giorni abbiamo messo a disposizione le nostre competenze e la nostra professionalità per mandare in edicola un prodotto editoriale. E la colpa probabilmente è nostra, di noi giornalisti che abbiamo accettato di lavorare prima per quella miseria (540 euro mensili) e poi addirittura gratis, dando fiducia agli editori, decidendo di scommettere ed investire, rischiando, su un giornale che sentivamo nostro. Il precariato, anche nel mondo del giornalismo, è alimentato da due soggetti: chi sfrutta, l’editore, e chi viene sfruttato, il giornalista. Se lo sfruttato non si lamenta, perché dovrebbe lamentarsi chi sfrutta?
Il lato positivo della vicenda, perché c’è sempre un lato positivo in tutto ciò che accade, è che almeno saremo più liberi, nel senso che non dovremo passare mezza giornata davanti al computer a scrivere, disegnare, titolare, impaginare. Avremo più tempo per noi stessi, per i nostri affetti, per le nostre passioni, per i nostri svaghi. Ecco il vantaggio di non essere più precario. Perché di fatto non sono più precario. Ho abbandonato quella situazione di insicurezza per approdare, mio malgrado, allo status ben più stabile di disoccupato. Almeno quello è certo, non c’è insicurezza nell’essere senza lavoro. E’ così. Punto. Ma almeno lo sai e non ti aspetti che qualcuno ti paghi per non fare nulla.
E adesso? Diceva un mio professore di economia politica all’università: E’ inutile affannarsi, tanto nel lungo periodo siamo tutti morti.