Hanno distrutto una macchina che funzionava alla perfezione grazie all’elevata professionalità di tutto il personale, dai portantini, ai medici, passando per gli infermieri e amministrativi. Se ripenso a quello che era l’ospedale di Agnone mi viene da piangere visto come l’hanno ridotto. Giorgio Marcovecchio oggi ha 75 anni di cui 37 trascorsi nella struttura sanitaria altomolisana. Dal 1981 al 2004 è stato il responsabile dell’ufficio del personale dove si preparavano i concorsi per assumere primari, medici, infermieri, cuochi e tecnici. “A cavallo degli anni ’80 e ’90 abbiamo bandito concorsi anche due volte all’anno. Alle selezioni si presentavano da ogni parte d’Italia consapevoli che sarebbero venuti a lavorare in una sorta di clinica svizzera. Nell’immaginario collettivo, ma poi lo era anche in realtà, l’ospedale di Agnone era visto così. Un piccolo gioiellino che sapeva farsi bastare la ripartizione del fondo sanitario regionale (circa 40 miliardi delle vecchie lire), non produceva debito e al tempo stesso attirava il 40% di utenza extraregionale”.
Nella sua lunghissima carriera, Marcovecchio ha preparato qualcosa come 60-70 concorsi, l’ultimo nel 2001 qualche anno prima di andare in pensione. Da allora, a parte la parentesi dell’anno scorso con l’assunzione di due medici di Medicina, il vuoto assoluto. “Eravamo una ‘equipe’ scrupolosissima che non lasciava nulla al caso. Spesso accadeva che venivamo chiamati da Campobasso o Isernia da dove ci chiedevano informazioni su come redigere documenti o bandi”. Erano i tempi dei grandi partiti dove Dc, Pci e Psi la facevano da padrone e lottizzavano gli ospedali, ma Marcovecchio ammette: “Meritocrazia era la parola chiave per l’ospedale di Agnone nel quale lavorava chi aveva meriti e competenze”. La struttura di confine era la prima ‘fabbrica’ dell’alto Molise con circa 330 impiegati negli ultimi anni passati a poco più di un centinaio.
“Il tutto – rimarca Marcovecchio – significava un’economia florida, soldi che giravano nelle attività commerciali, nei ristoranti, che consentiva a molti di acquistare case e mandare i propri figli all’università, tanto per rendere l’idea”. “Ad Agnone spesso venivano ad operarsi politici, funzionari di enti statali, ma anche semplici cittadini dal Casertano, basso laziale per non parlare dal vicino Abruzzo. Il paziente è stato sempre considerato come un parente, un amico di cui prendersi cura contrariamente a quanto accadeva in altre strutture dove il malato non è altro che il numero del posto letto”.
Dopodiché con l’azzeramento delle Asl e la nascita dell’Asrem è iniziato il lento e inesorabile declino. “Aver centralizzato a Campobasso l’intera sanità regionale – rimarca Marcovecchio – è stata la disgrazia più grande che poteva capitare. Una scelta infausta che ha comportato decisioni cervellotiche le quali non hanno fatto altro che penalizzare solo ed esclusivamente gli ospedali di periferia, quelli di Agnone, Venafro e Larino. Ospedali che funzionavano e sapevano dare risposte quelle che non hanno saputo fornire i nostri politici accecati più dalla sete di potere che dai reali problemi affrontati quotidianamente da anziani, lavoratori, studenti e mamme. Oggi pensare che su queste montagne non si nasce più, pensare che per una visita pediatrica o ginecologica bisogna fare centinaia di chilometri magari in condizioni climatiche proibitive dovute a neve o ghiaccio, è inumano nonché irrispettoso nei confronti di cittadini che pagano le stesse tasse di chi vive nei centri più grandi”, conclude amareggiato Marcovecchio.