Nell’immediato dopoguerra e fino ai primi anni Ottanta, nel nord Italia il boom economico attraeva nelle fabbriche e nelle città tantissime giovani donne desertificando ancora di più le campagne, ma così tanto che specialmente i giovani agricoltori ed allevatori della pianura padana non avevano più chi sposare.
Allora la forte domanda si rivolse al Meridione, dove c’erano molte ragazze disposte a sposare (spinte dalla necessità o dalla voglia di cambiamento e di indipendenza) uomini praticamente sconosciuti, segnalati da una rete nord-sud di “sensali” o “intermediari”. Nasceva così l’emigrazione matrimoniale, un fenomeno poco indagato dalla storiografia nazionale o dalla sociologia universitaria, ma che ha avuto un considerevole peso nelle comunità di appartenenza.
Per dare un’idea di quell’epoca l’Università delle Generazioni di Agnone ha inteso riportare alla luce due esempi: il primo relativo a Venerina Ingratta, una delle tantissime spose meridionali emigrate al nord, ed il secondo riguardante il “sensale” Michele Lemme, rimasto un personaggio mitico nella memoria di chi l’ha conosciuto. Eccone i ritratti.
Venere Ingratta dal Molise all’Emilia Romagna – Nata il 23 gennaio 1951, Venere Ingratta (detta Venerina) sabato 25 ottobre 1969 ha sposato Francesco Zanni (nato a Sasso Marconi, provincia di Bologna, il 2 aprile 1946) nella chiesa parrocchiale della natìa Villa Canale (frazione di Agnone, allora in provincia di Campobasso). Sono andati all’altare (uniti in matrimonio da don Pietro Mastrangelo) dopo un fidanzamento di appena 4 mesi e di poche visite reciproche.
Infatti, verso la fine del mese di giugno 1969 il futuro marito le era stato presentato dal sensale matrimoniale emiliano Angelo Ricci il quale era in contatto con il “corrispondente” Michele Lemme, proprietario e gestore della trattoria “Il grottino” di Agnone.
Ricci era solito fare la spola, nei fine-settimana, tra l’Emilia-Romagna e questa parte dell’Alto Molise (ma anche del confinante Abruzzo o Alto Vastese) per portare uomini celibi, giovani e meno giovani (generalmente agricoltori, allevatori ed operai) da far sposare con umili ragazze del popolo, possibilmente vergini e senza alcuna pretesa, abituate ai lavori pesanti della campagna e soprattutto ubbidienti, remissive e parsimoniose.
A quel tempo si trattava, generalmente, di portare queste ragazze da una famiglia patriarcale del sud ad un’altra famiglia patriarcale del nord. Amore, innamoramento, affetto erano opzioni e variabili di poco conto. Almeno al principio. L’importante era ricavarne figli e lavoro, in un ambiente a volte troppo diverso per mentalità ed abitudini, spesso ostile per pregiudizi e addirittura per razzismo, persino all’interno delle stesse famiglie di destinazione. “Generalmente quelli del nord sono antimeridionali, ma alla fine finiscono per sposare proprio le meridionali”, dice Orazio, 50 anni, figlio della signora Ingratta Zanni. “Non lo rifarei, se potessi tornare indietro, perché ero troppo giovane per capire. Avevo appena 18 anni. Nessuno ci spiegava come effettivamente stavano le cose”, racconta assai decisa la signora Venerina. Troppe le difficoltà incontrate nella casa del marito, dove il comando su tutti e su tutto era troppo ferreo ed esclusiva prerogativa del “suocero-patriarca” ed anche della suocera che mal digeriva il fatto che il figlio le avesse portato in casa una terrona, anzi, una “marocchina” come la chiamavano pure al di fuori dell’ambiente familiare, con grande sofferenza sua e del marito. Il lavoro, poi, era molto più pesante che non a Villa Canale dove c’era da badare soltanto a una decina di pecore e ai lavori di ristretti campi di mezza montagna. Invece, Francesco l’aveva portata in una vera e propria complessa fattoria padana con una stalla di 20 mucche, molti e vari animali da cortile e ben 19 ettari di terreno pianeggiante a distesa dove ancora coltivano barbabietole da zucchero, patate, grano, erba medica, ortaggi e tanto altro. Nonostante Venerina si impegnasse a lavorare fino allo spasimo non veniva apprezzata e nemmeno quando ha donato alla famiglia-azienda tre bei figli maschi: Marco, nato il 22 luglio 1970 esattamente dopo nove mesi di matrimonio, Orazio (6 dicembre 1971) e Massimo (13 luglio 1973).
“Ero molto remissiva e fin troppo docile e paziente, ma poi mi sono ribellata. Tardi, ma ho trovato il coraggio di ribellarmi a questa situazione. Figurati che sono riuscita a prendere la patente soltanto nel 1988, dopo quasi venti anni di matrimonio”, afferma orgogliosa la signora Venerina, la quale oltre al nome (che sa appartenere alla dea dell’Amore) avrà ereditato dalla nonna materna altre doti di carattere e di dignità personale. Ma poi ad addolcire la sua vita in quella fattoria isolata di aperta campagna (lontana 6 chilometri dalla cittadina di Medicina nel cui territorio comunale è posizionata, da Bologna 30, da Imola 24, da Ferrara 56) Venerina ha avuto il conforto della vicinanza di alcuni suoi familiari, sistematisi in zona nel corso degli anni: i genitori (la madre vive ancora ed ha 93 anni), la sorella Silvana che abita a Budrio e il fratello Giovanni che abita a Molinella nella stessa provincia di Bologna.
Il sensale Angelo Ricci, con il determinante aiuto di Michele Lemme, è riuscito a fare emigrare in Emilia parecchie ragazze molisane e abruzzesi al seguito dei giovani agricoltori, allevatori ed operai. Come Sabatini Iolanda di Poggio Sannita. “Ci siamo fatte coraggio insieme – rimarca ancora la signora Venerina – Mi frequento spesso pure con Rina Pannunzio, una compaesana con cui ho fatto insieme la scuola elementare. Ogni tanto mi vedo con una certa Lucietta di Agnone. Ma, adesso, mi dedico tutta alla mia nipotina Valentina, 11 anni, figlia di Marco, anche perché per il troppo lavoro non mi sono potuta godere i miei tre figli. Né ho potuto mai viaggiare se non per andare poche volte ai parenti di mia madre a Torvaianica, vicino Roma, e una volta, nel 1997, per appena dieci giorni, a vedere i parenti da parte di mio padre a Leamington (Canada) dove c’è una grande comunità di villacanalesi”. Le foto del matrimonio sono state fornite dalla signora Venerina e sono opera del maestro Umberto Leone di Agnone, dove era giunto come sfollato della Seconda guerra mondiale dal paese di San Marco in Lamis (Foggia).
Michele Lemme il “sensale” di Agnone – Michele Lemme nasce ad Agnone l’8 dicembre 1914 e gestiva la trattoria “Il grottino” sita in vicolo Savonarola, una traversa del corso principale di Agnone, tra l’ex piccola chiesa dei Cappuccini e il bar del Legionario. Aveva “Sbetico” come soprannome ovvero “bisbetico” per significare, nel dialetto locale, una persona “poliedrica” più che “lunatica”. “Una specie di anfitrione – assicura la nipote l’avvocato Paola Moschetto – un carattere allegro ed altruista, insomma la bontà fatta persona. Mio nonno – aggiunge – ha cercato di aiutare, in modo del tutto gratuito, ci tengo a precisare, le famiglie che si rivolgevano a lui, spesso insistentemente, per far maritare le proprie figliole. Era una persona rara mio nonno, carismatico, affabile e affidabile, socievole quanto generoso e gentile ed era cosciente di fare così un’azione umanitaria”. Sicuramente Michele Lemme era un personaggio sui generis pure per come mi è stato raccontato da altre persone che lo hanno conosciuto. Era un catalizzatore di simpatia, un aggregatore spontaneo. Forse pure atipico come “sensale” per come inteso usualmente.
L’avvocato Paola Moschetto parla con così tanto entusiasmo dei meriti sociali ed “umanitari” del nonno che è stato spontaneo proporle di scrivere un qualcosa da dare alle stampe (opuscolo o libro) per illustrare anche il personaggio che è rimasto molto simpaticamente nella memoria di Agnone e dintorni e, in alcuni, persino come mito o figura pittoresca. Infatti di lui si dice che sia riuscito addirittura a far sposare una “professionista dell’amore”. “E’ vero – conferma l’avvocato Moschetto – ha avuto la sensibilità di prendere a cuore le esigenze di tutti coloro i quali ambivano contrarre matrimonio, pure di chi socialmente non aveva speranza. Esprimeva la capacità di immedesimarsi nelle persone e di aiutarle nelle loro esigenze. Era un uomo che proveniva dalla campagna agnonese (località Maravecchia) più caratteristica ed autentica ed ha sempre portato con sé i valori tipici della civiltà solidale contadina. Valori che ha insegnato anche a noi nipoti. Sono molto fiera di questo mio nonno, persona che reputo davvero speciale e straordinaria”.
Inoltre, l’avvocato Moschetto conferma che nonno Michele Lemme sia pure parente del regista teatrale amatoriale Umberto Di Ciocco, al quale è stato proposto di dedicare a questo personaggio e alle sue caratteristiche tematiche una commedia brillante, pure come documento degli anni 1945-1980 quando il “sensale” si rendeva socialmente necessario ed utile per le tante comunità rurali così isolate come quelle che vivevano sulle nostre montagne appenniniche, specialmente negli anni assai difficili del secondo dopoguerra. Quasi sicuramente la medesima proposta verrà fatta al commediografo agnonese Antonino Patriarca e al veterano e premiato regista teatrale Giuseppe De Martino della “Compagnia Le 4 C” dal momento che Michele Lemme è un “monumento” sociale di queste zone interne dell’Appennino centrale. Ovviamente ciò dovrà e potrà avvenire con il beneplacito degli eredi Lemme.
Domenico Lanciano