QUATTRO milioni di chilogrammi di carni pregiate disponibili ogni anno che messe in filiera produrrebbero qualcosa come 65milioni di euro di ricchezza.
Sono questi i numeri snocciolati da Antonino Morabito, responsabile Fauna e biodiversità di Legambiente, durante il convegno tenutosi nei giorni scorsi a Grosseto al “Game Fire” dal titolo “Ambiente, legalità e nutrizione. Fauna selvatica come risorsa“. Un evento culturale organizzato dal Comitato nazionale caccia e natura.
E davvero di una immensa risorsa si tratta stando ai numeri forniti da Legambiente. Numeri che tra l’altro si riferiscono alla sola Toscana per una sola stagione di caccia. Un’immensa ricchezza, quella rappresentata dalla fauna selvatica e dal suo impiego in cucina, che invece è colpevolmente ignorata, non sfruttata. E addirittura in Italia siamo giunti al paradosso che questa risorsa rinnovabile rappresentata dalla fauna selvatica non solo non viene opportunamente sfruttata e messa in filiera per creare ricchezza e lavoro, ma addirittura rappresenta un problema.
Nel solo quinquennio 2005-2010 i danni arrecati dalla fauna selvatica, in particolare dagli ungulati, alle colture agricole raggiungono la cifra di 35milioni di euro. Una cifra sottostimata perché fa riferimento ai soli danni denunciati ufficialmente alle Province e alle Regioni. Basterebbe dunque mettere in filiera, cioè rendere commercializzabile e trasformabile, la carne di cinghiale, di capriolo, di daino e di cervo, per produrre ricchezza, in un solo anno e in una sola regione, per un volume quasi doppio rispetto ai danni di un quinquennio.
«Le carni di ungulato e della selvaggina in generale rappresentano il miglior biologico possibile. – ha continuato Morabito – Non esiste infatti nessun animale allevato in cattività che possa eguagliare le carni della fauna selvatica. Davvero a km zero. Tra l’altro le specie selvatiche di ungulato sono in costante crescita praticamente ovunque in Italia e rappresentano dunque un capitale potenziale praticamente inestinguibile».
Sulla stessa lunghezza d’onda Stefano Masini di Coldiretti: «Per contenere sensibilmente i danni al settore agricolo da parte della fauna selvatica basterebbe introdurre e attivare una filiera delle carni. Si limiterebbero le interazioni negative con le attività antropiche e contestualmente si riuscirebbe a creare lavoro e dunque ricchezza e anche a limitare il fenomeno dilagante del bracconaggio. Le specie selvatiche problematiche vanno gestite, con metodi scientifici, ma vanno gestite. Il problema è che in Italia l’Ispra ascolta più le proteste degli ambientalisti e degli animalisti che le richieste di risarcimento danni degli agricoltori».
Posizione condivisa sostanzialmente anche da Osvaldo Veneziano, presidente nazionale dell’ArciCaccia (nella foto accanto insieme all’onorevole Sani, ndr): «I danni all’agricoltura rappresentano una vera e propria emergenza. Mettiamo allora il cacciatore a servizio della collettività e degli agricoltori. Gli uomini ci sono, puntiamo allora sulle tecnologie e basandoci su dati scientifici mettiamo in campo dei piani di prelievo seri. La fauna selvatica va gestita e con l’abolizione delle Province questo delicato compito potrebbe essere affidato direttamente agli Atc».
Presente al convegno anche il presidente della Commissione Agricoltura della Camera, l’onorevole Luca Sani, il quale si è dichiarato disponibile a recepire le varie sollecitazioni giunte per mettere il filiera le carni di selvaggina nobile.
Francesco Bottone
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