C’è un filo rosso che lega la storia, la poesia e la rabbia di un popolo costretto a partire, lasciando dietro di sé case, affetti e radici. Quel filo lo ha intrecciato con forza e dolore Sergio Emanuele Labanca, medico, poeta e drammaturgo agnonese, che con il suo “Amore e Sangue pe’ chesta terra” denunciò già nel 1982 le ferite dell’emigrazione e l’abbandono delle aree interne. Oggi, a 43 anni di distanza, quel grido torna più attuale che mai, come un pugno sul tavolo di un’Italia che continua a svuotarsi.

A cento anni dalla nascita (1925-2025), il Cenacolo Culturale Francescano “Camillo Carlomagno”, di cui Labanca fu presidente, e la Compagnia teatrale “Le 4 C”, riportano in scena il suo capolavoro nel teatro Italo Argentino di Agnone, proprio nel giorno della sua scomparsa, il 31 ottobre, alle ore 21.
Un omaggio potente, che è al tempo stesso celebrazione e monito: perché le parole di Labanca, scritte con il sangue dell’appartenenza, continuano a raccontare l’Italia dei “partenti”, dei giovani costretti a cercare altrove ciò che la loro terra non sa più offrire.

Quando nel 1982 “Amore e sangue pe’ chèsta terra” debuttò nel piccolo teatro francescano sotto l’antica chiesa dei Cappuccini, nessuno poteva immaginare che quella “amara terra natia” sarebbe rimasta ancora oggi simbolo di spopolamento, di precarietà e di solitudini silenziose.
La storia di mastre Giuvanne, artigiano del rame, e della figlia Crestenella – promessa sposa al giovane emigrante N’dogne – è un dramma collettivo, specchio fedele di una comunità che, ieri come oggi, vede partire i suoi figli in cerca di fortuna. Il finale, affidato al monologo di Cristinella, è un colpo al cuore: parla di povertà, di amore e di una speranza che non basta più a trattenere chi non ha futuro.
A riportare in vita la potenza del testo è il regista Agostino Iannelli che, coadiuvato da Umberto Di Ciocco e Silvana Di Toro, ha scelto di rispettare fedelmente la struttura originaria, mantenendo il linguaggio agnonese italianizzato per rendere il dramma accessibile a tutti. Direttore artistico della commedia, l’evergreen Giuseppe De Martino.

Sul palco, un cast corale che restituisce autenticità e passione: Mariannina, Cristinella, N’dogne, Nicola e Frangische non sono solo personaggi, ma voci di un popolo dimenticato.
“Amore e Sangue pe’ chèsta terra” non è solo teatro. È un atto d’amore e di denuncia, un grido che attraversa il tempo. Labanca – medico che curava i corpi e poeta che curava le anime – aveva capito prima di molti che la vera malattia del Sud non era la povertà, ma l’indifferenza. Quella stessa indifferenza che ancora oggi lascia morire i borghi, i sogni e le comunità.
Il Cenacolo Culturale e la Compagnia “Le 4 C” hanno voluto fare di questa ricorrenza un momento di memoria attiva, ricordando come l’autore ha proseguino sullo stesso filone con opere come “’Na terra nova e ’na fatja nova”, “Un verdetto sofferto” e “Sofferenze e segreti”. Premiato con l’“Oscar d’Italia per la Scrittura”, Labanca ha lasciato una traccia indelebile nella cultura molisana, fondando anche il mensile L’Eco dell’Alto Molise e alimentando per tutta la vita un amore viscerale per la sua gente.
Nel teatro, nel silenzio che precede il sipario, torneranno a vibrare le sue parole, cariche di rabbia e di speranza. Perché “chèsta terra”, nonostante tutto, continua a chiedere amore. E sangue.