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  • Caciocavallo e pecorino, la nipote di De Sica esalta su Sky i prodotti made in alto Molise

    AGNONE – Eleonora Baldwin esalta i prodotti caseari del Molise altissimo. La nipote del grande Vittorio De Sica, cura la rubrica AbCheese, viaggio nell’Italia dei formaggi, programma trasmesso tutti i martedì su Gambero Rosso Channel (Sky 412 dalle ore 12,00 alle 21,30). Nei giorni scorsi Baldwin ha avuto modo di scoprire il caciocavallo di Agnone e il pecorino di Capracotta. Ecco il suo reportage.

    Ci sono regioni in Italia che già solo per estensione, offrono una varietà incredibile di formaggi. Io comunque sono sempre stata dell’idea che le dimensioni non contano, nemmeno quando si parla di territori. Anche nelle regioni più piccole, infatti, sono custoditi spesso grandi tesori. Nel Molise, ad esempio, ho trovato magnifici formaggi, quali il caciocavallo di Agnone, e il pecorino di Capracotta.

    Caciocavallo di Agnone

    Il più grande tesoro di questa piccola regione, è infatti l’arte antica della pastorizia e del formaggio: poche tipologie ma di grande qualità e dal sapore unico. Agnone, celebre per le botteghe degli ultimi ramai e per la fonderia di campane più antica del mondo, è il luogo di nascita di un caciocavallo straordinario. Sì, perché anche fare il formaggio è un’arte antica.

    Storia e territorio

    La zona è quella di Isernia nell’alto Molise. Un territorio impervio e montagnoso nel cuore della civiltà sannita, che è stato luogo importantissimo della millenaria tradizione della transumanza. In questo angolo appenninico incontaminato, il tempo sembra essersi fermato. Qui incontro la famiglia Di Nucci, importante dinastia di casari di questa zona, che cura la produzione di formaggi tipici della civiltà della transumanza dal 1662 con il capostipite Leonardo Di Nucci. Giovanni Di Nucci, invece, nei primi del ‘900 fu nominato dal governo come docente del primo corso per casari. Si tratta del primo corso per la lavorazione del latte della nascente industria casearia. Arrivati oggi alla decima generazione, con Serena Di Nucci che mi accompagna a conoscere la realtà della sua azienda, e a vedere come si fa il prodotto rappresentativo dei formaggi a pasta filata: il caciocavallo di Agnone.

    Lavorazione e stagionatura

    Questo formaggio semiduro a pasta filata, “cacio a cavallo di una pertica”, dalla classica forma a pera, sormontata da una piccola testa sapientemente rifinita, è talmente antico da venire chiamato “formaggio archeologico”. La tecnica produttiva e la filatura, che ne denotano l’originalità e la qualità organolettica, vengono effettuate con pochi semplici passaggi e soli quattro elementi: latte vaccino crudo, siero-innesto, caglio e sale. L’acqua bollente e una sapiente manualità fanno il resto. Il latte viene inoculato con siero-innesto e, alla temperatura di 38-40°, addizionato con caglio di capretto. La cagliata subisce una rottura in due fasi alle dimensioni di un chicco di riso. La pasta viene poi lasciata depositare sul fondo della caldaia, dove rimane sotto siero, ad acidificare. Dopo l’estrazione, la massa viene tagliata a fette per essere filata in acqua a 80°. La formatura avviene ovviamente a mano. Dopo essere stato raffreddato in acqua, il formaggio così ottenuto viene salato in salamoia. La maturazione avviene in grotta, a cavallo delle travi, trascorso un tempo variabile, il formaggio è disponibile in tre stagionature: semi stagionato, stagionato e “extra”.

    Assaggio

    Il caciocavallo di Agnone è versatile e generoso. Quello semi-stagionato, ovvero lasciato a maturare fino a 60 giorni, mostra una crosta chiara, dura, liscia, sottile e una consistenza morbida e pastosa. Quello stagionato, e cioè appeso alle travi dai 60 ai 120 giorni, ha la crosta color nocciola e vanta un sapore più deciso ma assolutamente elegante, caratteristico della sua pasta distesa con leggera sfogliatura. Il caciocavallo “extra”, stagionato in cantina di pietra di fiume Rapillo di Agnone per oltre 180 giorni, presenta una crosta con presenza di muffe; la pasta è semidura, compatta, abbastanza fessurata, di colore paglierino chiaro o paglierino, con occhiatura rada di dimensione fine. Tradisce un’inaspettata solubilità e un retrogusto audace, complesso e armonico, nel quale è possibile comunque distinguere il bagaglio erbaceo dell’eccellente latte di partenza. Io l’ho consumato in purezza ma immaginatelo con una bruschetta. O con dei fichi maturi! Si abbina a vini bianchi o rossi di bassa gradazione alcolica e a birre chiare. Salute!

    Pecorino di Capracotta

    Per trovare una seconda specialità molisana mi inerpico a 1500 metri, nel paese di Capracotta. Qui sono alla ricerca di un prodotto originalissimo. Il pecorino di Capracotta è un formaggio molto antico, le sue origini risalgono all’epoca dei Sanniti. Oltre a essere inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani della regione Molise, questo prodotto fa parte anche dell’Arca del Gusto della Fondazione Slow Food, e assume diversi profili organolettici in funzione del pascolo dove le pecore brucano. La sua più grande particolarità? È fatto senza strumenti, solo con le mani.

    Storia e territorio

    In questa zona un tempo c’era un via vai continuo di greggi che dalle montagne e dalle colline percorrevano i tratturi, cioè i tracciati formati dal passaggio del bestiame. Capracotta – comune più alto dell’Appennino – rimane uno dei simboli forti della civiltà transumante dell’Europa mediterranea. Parliamo dell’epoca dei massari, ovvero proprietari del bestiame destinati per generazioni a guidare le proprie mandrie dalle valli ai monti, e che dai pascoli estivi di altura le trasferivano a quelli invernali di pianura. L’ultimo erede di una nota dinastia di massari a Capracotta è un elegante galantuomo ormai in pensione, e che di professione ha sempre fatto il notaio, ma che alla tradizione di famiglia non ha saputo rinunciare. Del notaio Michele Conti infatti sono le 700 pecore che producono il latte per il pecorino di Capracotta PAT che voglio assaggiare.

    Lavorazione e stagionatura

    Il latte ovino intero viene riscaldato a circa 36-38° e addizionato con caglio di agnello. La cagliata viene rotta con lo spino alle dimensioni di un chicco di riso. La pasta viene poi semicotta a 42-45°. In seguito viene estratta e versata nelle fuscelle dove si pressa a mano facendo spurgare il siero. Altra particolarità di questo prodotto è che il formaggio viene in seguito scottato nel siero. La salatura avviene in salamoia, e la stagionatura varia dai 3 ai 6 mesi su assi di legno.

    Assaggio

    Ecco il momento tanto atteso! La crosta del pecorino di Capracotta è dura, rugosa, di colore paglierino o nocciola chiaro a seconda della stagionatura. La pasta è dura, compatta, untuosa, di colore paglierino, con occhiatura rada e di dimensione fine e irregolarmente distribuita. Il sapore non è mai lo stesso, le erbe dei pascoli si diversificano fra loro infatti a seconda dell’esposizione o dell’altitudine. Non c’è pertanto modo di prevedere – o uniformare – il gusto di questo pecorino. Il consiglio è questo: rallentare, aprire una forma, versare un bicchiere di rosso strutturato e tagliare una fetta di pane casereccio. Il resto è piacere.

    Quante sorprese mi ha riservato il Molise: una piccola regione ma ricca di tradizioni, di storia e di grandi sapori. Formaggi d’altri tempi, semplici, genuini e più che a Km 0. Espressione del territorio molisano da generazioni, questi formaggi narrano storie – come quelle della famiglia Di Nucci e del Notaio Conti – che si contano sulle dita di una mano.

     

     

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