Premessa: chi firma questo articolo è un cacciatore e direttore (nella foto con cuffie, sigaro e occhiali, ndr) presso il campo di tiro Auro d’Alba a Schiavi di Abruzzo. Dunque non possono reggere le eventuali accuse di essere anti-caccia o anti-armi. Detto questo, la sfilza di incidenti a caccia impone, soprattutto in noi cacciatori, una riflessione seria e senza preconcetti. Continuare a ripetere che «succedono più morti in bici, sulle strade o in montagna» non sposta di una virgola il discorso e non risolve il problema. Ma qual è il problema? Sono diversi. Il primo è il sistema di “reclutamento” dei cacciatori. Per diventare cacciatori bisogna superare un esame su materie venatorie, ma quello che ci interessa è il rilascio del cosiddetto “maneggio delle armi“. Chi ha fatto il militare si presume che abbia tenuto in mano un fucile almeno una volta nella vita e infatti il foglio di congedo bastava per chiedere il rilascio del porto d’armi. Poi qualche imbecille ha abolito l’obbligo della leva militare e le cose sono cambiate, in peggio ovviamente. Oggi il prerequisito per chiedere un porto d’armi per uso sportivo o caccia è passare per un Tsn, cioè un tiro a segno nazionale. In quelle sedi un direttore di tiro autorizzato dal Ministero dell’Interno tiene all’aspirante cacciatore un corso accelerato di maneggio delle armi. Un paio di ore di lezione solitamente, teoria e pratica, o quando va bene un paio di pomeriggi nei Tsn più seri, per spiegare ad uno che non ha mai visto un fucile o una pistola come si tiene in mano un’arma e le basilari regole di sicurezza. Il “corso” del Tsn, occorre ripeterlo, ha una durata che va dalle due ore ai due pomeriggi. Alla fine basta pagare e il certificato di maneggio delle armi è fatto, pronto per essere spedito in Questura. Se non si hanno precedenti penali e se i certificati medici sono in regola, tempo due mesi e l’aspirante cacciatore ha la sua bella licenza di caccia, può andare per boschi con un’arma in mano, fucile o carabina che sia. Una procedura troppo semplice, troppo breve soprattutto, assolutamente inadatta a fornire le basilari regole di maneggio in sicurezza di un’arma. E allora, cosa fare? Rendere più seri i corsi di maneggio armi al Tsn sicuramente aiuterebbe. Corsi di più ore, di più giorni magari, perché non basta sparare due caricatori di 22 Lr per saper maneggiare un’arma in sicurezza. O anche l’obbligo periodico di frequentare un poligono o un campo di tiro, perché lì si impara davvero a sparare. I cacciatori solitamente vanno a caccia tre mesi all’anno, poi ripongono le armi negli armadietti blindati e le lasciano lì per i restanti nove mesi. Frequentare i campi di tiro, anche solo una volta ogni tre mesi, sotto lo sguardo vigile del direttore di tiro rompicoglioni che rilascia, a fine sessione, un certificato di presenza e di tiro. Già questo basterebbe a rendere i cacciatori più consapevoli di quello che hanno tra le mani. E magari si farebbero tante sciocchezze in meno a caccia. E una sciocchezza in battuta significa spesso la morte di qualcuno.
Francesco Bottone
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