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  • Bambini tolti alla famiglia che vive nel bosco, Marilio: «Regione pronta a favorire una soluzione positiva»

    «In questi giorni l’Abruzzo è al centro dell’attenzione nazionale per la vicenda della famiglia che vive nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti. Una storia che ha acceso un dibattito profondo, toccando corde delicate che riguardano la libertà, l’educazione, la genitorialità e il rapporto tra istituzioni e cittadini. Non posso e non voglio sottrarmi ad una riflessione. Lo faccio con il massimo rispetto verso la magistratura, le cui decisioni sono e restano un punto fermo in uno Stato di diritto. Le sentenze si rispettano sempre. Ma il rispetto non esclude la possibilità — e talvolta il dovere — di interrogarsi. Sono certo che gli stessi giudici che hanno preso questa decisione lo abbiano fatto non senza averne sentito il peso e la difficoltà».

    Inizia così la lunga riflessione del presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, in merito all’allontanamento dalla casa ai margini del bosco dei tre bambini, figli di una coppia di stranieri che ha fatto la scelta di vivere a stretto contatto dalla natura e fuori dalla cosiddetta civiltà

    «Parlo da Presidente della Regione Abruzzo, ma anche da padre. – prosegue Marsilio – Perché questa vicenda, prima ancora che istituzionale, è umana. Mi domando dove si collochi il confine tra la libertà di una famiglia che non ha commesso reati, non ha esercitato violenze, non ha sottratto i figli all’istruzione, paga le tasse e sceglie uno stile di vita diverso, e l’intervento dello Stato quando giudica “inappropriato” quel modo di vivere. Viviamo un tempo in cui tutto sembra dover essere moderno, digitalizzato, incasellato. Una società che ci chiede di essere costantemente connessi, uniformi, integrati. Questa famiglia rappresenta l’opposto: una scelta radicale, certamente non comune, ma che appartiene a un modo antico di vivere la relazione con la natura e con il tempo. È legittimo, però, domandarsi se una distanza così forte dalla socialità possa limitare la crescita dei bambini e la loro capacità di confrontarsi con il mondo reale. È una domanda seria, che merita attenzione.

    Ma accanto a questa riflessione ne sorge un’altra, altrettanto importante: questa famiglia non ha fatto male a nessuno. Eppure oggi si trova a vivere un trauma che spesso è riservato a chi commette abusi, a chi trascura, a chi manda i figli allo sbando, per strada, esponendoli alla devianza e al reato, a chi elude tasse e regole. A chi delinque. Anzi, in molti notano con sconcerto che un provvedimento così traumatico qual è l’allontanamento dei figli dai genitori, troppo spesso non viene nemmeno applicato neanche a quelle famiglie che hanno comportamenti devianti e abusanti nei confronti dei figli stessi.
    Togliere i bambini a chi non ha fatto nulla di male è una decisione che pesa, che lascia un segno. E penso al trauma che questi piccoli stanno già vivendo, lontani all’improvviso da un mondo che per loro rappresentava sicurezza, normalità, affetto e unione.

    Da padre mi sono chiesto più volte che cosa avrei fatto io, come avrei reagito se mi fossi trovato in una condizione simile. Sotto la pressione mediatica, sotto il giudizio sociale, avrei ceduto? Avrei accolto la modernità per proteggere i miei figli dall’allontanamento? Non so darmi una risposta. La verità è che questa vicenda scuote la coscienza di tutti noi, perché tocca il punto più sensibile della nostra esistenza: i figli. Da uomo delle Istituzioni credo che questa storia imponga una riflessione più ampia sul rapporto tra libertà individuali, responsabilità genitoriale e intervento pubblico. È un tema che non può essere affrontato con superficialità o ideologia. Deve essere affrontato con equilibrio, con prudenza e, soprattutto, con umanità. Perché se la legge è il nostro riferimento, la coscienza è ciò che ci ricorda chi siamo.


    E allora mi chiedo, e chiedo a tutti noi: in un Paese libero, possiamo ancora scegliere il nostro destino e quello dei nostri figli, se viviamo nel rispetto della legge e dei nostri valori morali? E fino a che punto chi deve vigilare sul benessere dei minori può ricorrere a strumenti che — agli occhi di qualunque genitore — appaiono dolorosi, estremi, capaci di lasciare ferite profonde?

    Una domanda che rimane aperta, come la mia lettera, e che merita, oggi più che mai, una riflessione profonda e non giudizi affrettati, non le grida di “vergogna” che troppo spesso sostituiscono il dialogo, ma un impegno comune a migliorare il nostro modo di guardare gli altri, anche quando le loro scelte sono diverse dalle nostre.
    Serve la capacità di valutare ogni storia per ciò che realmente è, con attenzione, umanità e responsabilità. Solo così potremo essere una comunità giusta, capace di tutelare i più fragili senza smarrire il senso profondo della libertà e della dignità di ciascuno.
    Mi auguro che nei successivi gradi di giudizio, in appello, la famiglia possa dimostrare la sua capacità di offrire ai figli un percorso di crescita sano ed equilibrato, ricomponendo il nucleo famigliare, innanzi tutto per il bene dei bambini, che sicuramente stanno subendo le conseguenze di questo trauma più di tutti. La Regione, come già sta facendo anche il Comune di Palmoli (che ringrazio per l’impegno in questo senso) è a disposizione per favorire una soluzione positiva, che possa conciliare il rispetto delle regole fondamentali dell’ordinamento con il diritto di scelta e la libertà educativa dei genitori, pronti a mettere a disposizione personale qualificato e risorse, nella volontà di colmare le distanze e restituire serenità a tutta la comunità».

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