Di recente ci siamo occupati del lavoro del cosiddetto governo giallo-verde nella predisposizione del Def e, dopo aver rifiutato un decisionismo incapace di qualsiasi confronto, abbiamo auspicato che successivamente, nelle determinazioni sulle diverse voci della legge di bilancio, ci fosse un orientamento di responsabilità nelle risoluzioni per il bene dell’Italia e dei suoi abitanti.
Proviamo ad analizzare cosa è successo al riguardo.
L’ipotesi di legge di stabilità avanzata dal governo è stata chiaramente bocciata dall’Unione Europea, dai mercati finanziari, dalle società di rating e dalla quasi totalità degli economisti che ne hanno analizzato i dati.
Vorremmo far riflettere sul fatto che l’andamento dello spread e del mercato borsistico dice con chiarezza che gli investitori sono davvero preoccupati per la situazione economica del Paese non solo perché si tenta di fare una manovra economica in deficit in un momento di forte congiuntura economica in cui la crescita è minima e relativa solo ad una parte del nostro territorio, ma soprattutto per l’apertura di quello scontro con l’Europa che sembra prendere corpo come processo di destabilizzazione intorno ad un sovranismo nazionalistico ed in taluni casi perfino xenofobo, ma anche da parte di potenze esterne all’Unione Europea.
Analizziamo allora le ragioni per le quali le scelte di questo governo non appaiono credibili.
Il rapporto tra deficit e Pil, che era stato fissato al 2,4% per il prossimo triennio, ora è stato abbassato per gli anni 2020 e 2021 al 2,1% ed al 1,8% nella speranza di ridurre il tono di criticità che si respirava all’orizzonte.
Nella stessa lettera di risposta alle critiche della Commissione Europea il ministro Tria avrebbe dichiarato la disponibilità del governo ad intervenire in caso di evidenti difficoltà.
Nonostante ciò proprio mentre scriviamo giunge la notizia che Bruxelles ha respinto il documento di programmazione economica dell’Italia invitando il governo a produrre una nuova bozza entro tre settimane.
La verità a nostro avviso è che il governo non dà alcuna garanzia agli investitori sull’efficienza e sulla bontà della manovra economica in atto.
Intanto, nonostante le ultime variabili prospettate, i mercati non credono che si possa fare una legge di stabilità in deficit perché secondo gli economisti più avveduti saremmo nel pieno di un ossimoro visto che il deficit strutturale aumenterebbe indipendentemente dalla crescita.
Come poi mette opportunamente in evidenza la giornalista Roberta Carlini, non si può solo fissare la percentuale del rapporto con il Pil senza fare alcuna previsione di quale sarà quest’ultimo nei prossimi tre anni, visto che il valore di una frazione dipende non solo dal numeratore, ma anche dal denominatore.
Certo le politiche di austerità dell’Europa determinate dalle regole del Fiscal Compact non hanno assolutamente aiutato la crescita dell’economia ed un benessere sempre più diffuso dei suoi abitanti al punto che il numero dei disoccupati in alcuni paesi aumenta e sale soprattutto quello dei poveri; allo stesso tempo non crediamo ci si possa illudere tuttavia che l’aumento del deficit riesca a dare espansione agli investimenti ed allo sviluppo.
Intanto, se abbassiamo i fondamentali di stabilità del bilancio dello Stato, nessuno può garantirci che il nostro debito pubblico sarà acquistato così come il governo spera ed in questa incertezza potremmo anche andare incontro al default.
In quest’ultima ipotesi, che ovviamente nessuno degli italiani auspica, il conto lo pagherebbero proprio i cittadini e tra essi i piccoli risparmiatori, visto che i furbi si tutelano investendo i propri capitali all’estero o evadendo le imposte.
Che le forme di condono previste, sulle quali tra l’altro abbiamo dovuto assistere ad accuse reciproche grottesche tra ministri, la riduzione delle tasse ad una fetta molto ridotta di contribuenti come i professionisti ed i piccoli imprenditori a partita Iva, il reddito di cittadinanza o la revisione della legge Fornero possano muovere di qualche decimale gli acquisti può anche corrispondere in parte al vero, ma che tali provvedimenti possano creare nuova occupazione e crescita dell’economia è davvero molto discutibile.
Un Paese avrà nuovi occupati solo se riesce a prevedere nella legge di stabilità un calo deciso della tassazione sul lavoro ed una parte consistente del bilancio in investimenti per infrastrutture, istruzione, ricerca, innovazione tecnologica e telematica insieme ad un’eccellenza dei prodotti sul mercato.
Nella situazione che vive l’Italia ciò si può ottenere con una riduzione della spesa pubblica, con una lotta serrata all’evasione fiscale o con una patrimoniale.
In buona sostanza, come pare di capire dalle notizie molto aleatorie sulle cifre che fin qui filtrano in relazione alle diverse misure della manovra, quando gran parte del budget a disposizione va in provvedimenti assistenziali destinati a rinforzare bacini elettorali delle forze politiche al governo piuttosto che su impieghi di natura produttiva nei diversi settori dell’economia, è difficile immaginare che esso possa contribuire alla crescita economica.
Non si discute la bontà dell’idea di ridurre la povertà e la lunghezza della vita lavorativa, ma tali obiettivi vanno raggiunti con la certezza delle coperture economiche che tra l’altro vanno trasferite non su fondi di natura assistenziale, ma sull’espansione dell’occupazione lavorativa che sola potrà dare dignità e libertà alla persona.
Se questo non si realizzerà, il prezzo più alto sarà pagato ancora una volta soprattutto nel Mezzogiorno.
Occorre pertanto smettere di parlare alla pancia del Paese e provare a rivitalizzare lo sviluppo della capacità imprenditoriale e della cultura del lavoro produttivo che sole possono dare vera ricchezza in un mondo globalizzato che immagina invece di generarla sul piano finanziario con sistemi eticamente inaccettabili a danno di una maggioranza di esclusi.
Non crediamo che partiti populisti e sovranisti siano orientati verso una possibile liberazione dal prezzo della povertà che una globalizzazione selvaggia ed il neoliberismo ci propinano.
Non riusciranno a raggiungere tale obiettivo neppure le forze di quella sinistra che ha finito per appoggiare le posizioni dei centri finanziari accettandone le politiche di austerità, le visioni assurde delle strutture economiche, politiche e sociali e perfino il folle orientamento da un’economia produttiva ad una fondata sul mercato del denaro.
Nonostante la pretesa di definirsi talora movimenti, ci troviamo di fronte a gruppi elitari che esercitano ancora il potere nella convinzione tra l’altro che esso debba avere sempre meno controlli democratici ed articolati come abbiamo sentito ancora ripetere da Matteo Salvini e da Beppe Grillo con messaggi nei confronti della Magistratura, dei mass-media o del Presidente della Repubblica.
Se le analisi sopra prospettate hanno un qualche fondamento e le forze di governo nei sondaggi sembrano crescere nei consensi e godono dell’appoggio di vasti strati della popolazione, o i loro messaggi hanno una qualche forza convincente sul piano degli interessi individuali oppure nei cittadini potrebbe mancare un cosciente spirito critico in grado di vedere le questioni socio-economiche con cognizione di causa ed effetti.
La via di uscita per tornare a fare politica in modo razionale e democratico è una sola: rafforzare la conoscenza diffusa sui problemi sociali, allargare nel Paese un dibattito al momento troppo limitato e costruire in tempi accettabili un soggetto politico nuovo sul piano della metodologia, della struttura, delle idee fondanti e della prassi operativa.