Le elezioni regionali in Molise si sono concluse con l’affermazione del centro destra che riprende la giunta regionale dopo la parentesi di Frattura.
I dati ufficiali della regione ci dicono che si è recato al voto appena il 52,17% degli aventi diritto e quindi 172.800 elettori.
L’affluenza più bassa si è avuta a Duronia con il 19,24% , mentre la più alta è quella di Molise con il 73,13% .
Pertanto Donato Toma e la sua maggioranza rappresentano con il 43,46% appena 75.098,88 elettori.
È un primo dato che dovrebbe seriamente interpellare chi si dichiara vincitore, ma anche tutte le altre forze politiche che evidentemente non hanno avuto una grande credibilità se sono riuscite a portare al voto poco più della metà dei molisani.
Non era difficile prevedere il successo di Toma considerando i tatticismi elettorali delle numerose liste di appoggio e l’anima fondamentalmente post democristiana, ma neoconservatrice del popolo molisano.
D’altronde il centro destra è stato favorito dalla mancanza di una lista di autentico centro sinistra e dall’inesistenza di una formazione di sinistra che hanno tenuto a casa gli elettori di queste aree politiche che non si sentivano per nulla rappresentati dai raggruppamenti e dai candidati espressi per l’ennesima volta in modo verticistico e demagogico; infatti gli unici esponenti eletti sono legati all’esperienza di quel PD che non ha certo brillato nell’amministrazione della regione con la giunta Frattura.
Il movimento cinque stelle con il 38,50%, pur triplicando il numero di consiglieri regionali, ha perso a nostro avviso una parte dell’elettorato di centro sinistra che in Molise lo aveva votato nelle elezioni politiche del 4 marzo e non è riuscito a conquistare la giunta regionale per una serie di errori politici di livello regionale e nazionale sui quali crediamo vadano fatte analisi doverose che riguardano il futuro stesso di questo raggruppamento politico ed il suo modo di porsi sul piano programmatico, relazionale, tattico e metodologico sul quale in più di una circostanza ci siamo soffermati.
Carlo Veneziale, com’era prevedibile nella miopia di chi non ha tentato alcuna forma di accostamento alle richieste della base più accorta del centro sinistra, non è andato oltre uno striminzito 17,10% .
Chi oggi critica l’atteggiamento astensionista, incapace di percorrere la strada del cosiddetto voto utile o di scopo, deve chiedersi con serenità se le istanze rappresentate da principi e valori essenziali nella costruzione di una collettività garante dei diritti di tutti potessero essere assicurate dalle liste presenti nella scheda elettorale e dall’indeterminatezza programmatica delineata.
Il tentativo di creare una rappresentanza per le idealità della sinistra c’è stato, ma chi si riconosce in tale area di riferimento ha il dovere d’individuare l’incapacità di un confronto produttivo nel proporre una lista ad un elettorato che poi sostanzialmente si è astenuto o ha creduto di trovare una scialuppa di salvataggio nella scheda bianca o nulla.
Non sarà facile ricostruire il tessuto politico di una sinistra disintegrata e non sappiamo quale ruolo potrà avere nelle prossime amministrative di Campobasso e Termoli, ma siamo certi che in tale direzione occorrerà lavorare, anche se questa volta con soggetti credibili, trasparenti e lontani dalle furbizie dei giochi di potere.
Ad urne chiuse occorre riflettere sulla grave situazione che vive il Molise a vari livelli, ma soprattutto sul piano culturale, economico, infrastrutturale e dei servizi.
Le forze politiche di centro destra, ma anche quelle appartenenti al cosiddetto centro sinistra hanno in merito responsabilità pesanti dalle quali possono uscire solo invertendo una tendenza amministrativa che tante difficoltà ha creato per le popolazioni della regione ed in modo particolare per quelle delle aree interne.
Anche chi è rimasto lontano dai seggi il 22 aprile oggi deve fare qualche riflessione.
Quanti in questi anni si sono impegnati in movimenti ed associazioni di base a definire linee programmatiche alternative a quelle messe in atto dalle passate giunte devono essere in regione capaci di una presenza attiva in grado di controllare quanto si va definendo sul piano politico, pretendendo che ogni atto deliberativo vada nella direzione del bene comune e non in quella degli interessi personali o di gruppi di potere.
Se il potere della giunta e del consiglio regionale non si relaziona con una partecipazione consultiva dei cittadini agli atti di governo attraverso un ascolto delle esigenze di base da parte del governatore e delle commissioni in apposite audizioni, le decisioni saranno lontane da ogni forma di democrazia partecipativa.
Il punto è che tali richieste di partecipazione alle decisioni amministrative non avranno spazio se le associazioni ed i movimenti non saranno capaci di confluire in sinergie operative di elaborazione politica e di lotte sociali per l’affermazione di diritti fondamentali.
Ci auguriamo che le difficoltà ad incidere nelle decisioni per assenza di spinte di massa convincano tutti della necessità a convergere su associazioni molto allargate piuttosto che chiudersi in raggruppamenti settoriali.