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  • Emergenza cinghiali, Libera Caccia attacca: «Dagli animalisti solo chiacchiere ideologiche, facciano proposte concrete»

    RICEVIAMO dal presidente regionale della Libera Caccia, Antonio Campitelli, e pubblichiamo:

    Dopo la ragionevole e sensata proposta del comitato dei sindaci del Sangro-Aventino sull’applicazione della tecnica della “braccata” nelle attività di controllo della specie cinghiale, assistiamo ad alcune esternazioni da parte di esponenti del mondo ambientalista, che hanno semplicemente dell’assurdo. Questi signori che dovrebbero difendere l’ambiente, sembrano invece mossi da un esclusiva preclusione ideologica nei confronti dell’attività venatoria e dei cacciatori, lasciandosi andare a dichiarazioni alquanto dubbie o perlomeno incomplete. E’ da tempo ormai che chiedo lumi in merito a questi ripopolamenti di cinghiali da parte dei cacciatori, di cui tanto si parla e si scrive, ma nessuno finora mi ha dimostrato, documenti alla mano, quando, da chi, e con quali specie alloctone siano stati effettuati questi ripopolamenti. Inoltre, si omette di specificare che in Abruzzo, circa il 40 per cento del territorio è costituito da aree protette in cui è vietata la caccia, e se vi si aggiunge quello sottoposto a vari vincoli di natura ambientale o faunistica, in cui la caccia è ugualmente vietata o comunque fortemente limitata, si oltrepassa abbondantemente il 50%. Vorrei che gli stessi ci facessero sapere quali sono le azioni messe in campo dagli enti gestori delle stesse aree (alcune delle quali sono appunto gestite dalle stesse associazioni ambientaliste), e con quali successi. Gli ATC, che si reggono sulle quote d’iscrizione dei cacciatori stessi, forniscono mezzi di prevenzione dei danni all’agricoltura, come recinti elettrificati da installare a salvaguardia dei campi, agli agricoltori che possiedano dei terreni sul territorio da loro gestito. Mi piacerebbe sapere, cosa fanno per la prevenzione dei danni all’agricoltura le aree protette che si reggono grazie ai finanziamenti pubblici. Al posto di portare avanti queste battaglie meramente ideologiche, pensassero piuttosto ad una proficua collaborazione per gestire al meglio anche quelle aree protette, la cui biodiversità (che loro dovrebbero proteggere) è messa a repentaglio dalla spaventosa sovrappopolazione di cinghiali che trova all’interno delle stesse aree la possibilità di riprodursi indisturbati. Vorrei anche capire, qual è l’etica ambientalista o animalista, che li porta a preferire la sofferenza di questi animali all’interno di una gabbia o di un recinto di cattura, dove i cinghiali, per tentare di liberarsi, a volte si feriscono mortalmente o addirittura si fracassano il cranio contro la recinzione, al posto dell’attività venatoria. E sarei anche curioso di capire cosa potrebbe accadere se all’interno di uno di questi recinti capitasse per sbaglio un animale protetto, come ad esempio un orso bruno marsicano. Ma se proprio questi signori volessero accollarsi l’onere della risoluzione di questo annoso problema, almeno ci dimostrassero l’efficacia delle soluzioni da loro proposte.

     

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