Emergenza cinghiali in tutta Italia, anche a Roma, dove le associazioni animaliste chiedono di mettere in campo misure «non cruente». La fauna selvatica va gestita, come si fa ovunque nel mondo. Si chiama appunto gestione faunistico-venatoria perché, è semplice da capire, si preleva la popolazione in soprannumero riportandola a densità meno problematiche. Si preleva vuol dire si spara, si abbatte e si mette in filiere una carne dalle eccellenti proprietà, cibo biologico per definizione. Ma in Italia, si sa, le strade ovvie, scontate e gratuite non convincono e così si cercano soluzioni «non cruente» perorate e in alcuni casi imposte dalle associazioni animaliste. Ed è quello che sembra accadere a Roma, dove l’amministrazione comunale, precisamente la Commissione Ambiente, si è confrontata, proprio nei giorni scorsi, con l’associazione Earth e il Comitato tutela diritti animali, per trvare appunto soluzioni che non passino per gli abbattimenti selettivi.
«I cinghiali sono diventati in sovrannumero poiché introdotti a scopo venatorio e la soluzione non può essere ricercata nella caccia di selezione» ha spiegato Valentina Coppola, presidente di EARTH, senza dare alcuna giustificazione scientifica a questa sua affermazione. Stop agli abbattimenti dunque, almeno secondo gli “esperti” di Earth, e spazio a nuove tecniche come ad esempio la contraccezione. Avete letto bene. So vorrebbero sterilizzare milioni di cinghiali. Il problema, senza considerare il costo, è che bisogna prima prenderlo un cinghiale per potergli somministrare un contraccettivo.
E qui si dà spazio alla fantasia, dalle gabbie di cattura, ai corral, che pongono il problema del successivo rilascio soprattutto se si parla di ambiente fortemente antropizzato, alla telenarcosi, che però implica l’impiego di personale abilitato e magari anche pagato per procedere in tal senso. E così tra ipotesi complicate e soprattutto costose, ne spunta una terza, che è quella del confinamento degli ungulati nelle riserve. Resta sempre il fatto che bisogna prima prenderli, catturarli, per trasferirli in zone considerate adatte. Con quali modalità? A spese di chi? E soprattutto, visto che non si possono recintare per migliaia di chilometri i perimetri esterni di parchi e riserve, come si pensa di impedire ai cinghiali di uscire nuovamente da quelle oasi? Questo i sedicenti “esperti” delle associazioni animaliste non lo spiegano. L’importante, per loro, è dire «no» pregiudizialmente agli abbattimenti con armi da fuoco.
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