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  • Fonderia Marinelli, il sogno dei “campanari”: «Papa Francesco ad Agnone nel 2020»

    (ANSA) – Il procedimento della fusione, con il bronzo liquefatto e incandescente che viene fatto colare con precisione nelle forme incastonate nelle argille, anche se parte con l’invocazione cristiana “Santa Maria!” ha ancora il sapore di un rito arcaico, ancestrale, quasi pagano. Perché qui, nella Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone, tutto avviene ancora con le tecniche originarie: le stesse di mille anni fa, quando venne fondata questa fucina per la fabbricazione di campane, tra le più antiche fabbriche del mondo che hanno mantenuto e tramandato nei secoli la loro conduzione familiare, e per questo pluri-premiata e addirittura riconosciuta “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco.
    All’interno, tutto rimanda all’antica sapienza dell’arte metallurgica medievale, che qui, nell’Alto Molise, affonda le radici fin nelle eredità sannitiche: le fascine di legna proveniente dalle vicine foreste, i camini, le forme sempre in legno delle campane di tutte le grandezze per la creazione degli stampi, i forni che ardono, gli operai che in un’attività incessante limano, scalpellano e cesellano gli esemplari usciti dalla fusione, dopo il raffreddamento, e che una volta finiti prenderanno le destinazioni di tutti e cinque i continenti.
    “Le nostre campane vanno già in tutto il mondo – racconta Antonio Delli Quadri – maestro campanaro da tre generazioni, oggi 80/enne, entrato nella Fonderia Marinelli a 17 anni, nel 1954 -, ma la novità è che stiamo entrando anche in Paesi come l’Indonesia, il Myanmar e la Thailandia. Il tutto nasce dal fatto che poco tempo fa il nostro Museo, in cui è narrata ed esposta tutta la storia millenaria dell’azienda, fu visitato da un personaggio che scoprimmo essere un ministro indonesiano. Da lì sono nati i contatti per cui le nostre campane saranno fornite anche alle missioni cristiane presenti in quei Paesi”.
    Per la sua produzione – ha fuso concerti di campane come quello del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, le campane di Montecassino, quelle della Cattedrale di Buenos Aires e la campana del Giubileo 2000 “Giovannea”, commissionata da papa Wojtyla -, che nel 1924 le valse da parte di Pio XI la concessione dello Stemma Pontificio e il 19 marzo 1995 la visita di Giovanni Paolo II, la Fonderia Marinelli non ha praticamente rivali o concorrenti. “Esiste un’altra fonderia di campane a Innsbruck, altre in Francia e in Germania, mentre ha chiuso a Londra quella di Whitechapel, che realizzò anche la campana del Big Ben”, ricorda Armando Marinelli, che col fratello Pasquale perpetua oggi la conduzione dell’azienda tramandata di generazione in generazione.
    “Noi ci onoriamo di mantenere le stesse tecniche di sempre, di quando non esisteva l’energia elettrica, perché questo è il nostro ‘marchio di fabbrica’ – aggiunge -. I cambiamenti sono marginali. Non si usa più, ad esempio, lo sterco di cavallo per l’amalgama delle argille, con le sue speciali caratteristiche, sostituito da altri materiali e da sostanze refrattarie. Ma il complesso della lavorazione resta quello di mille anni fa”.
    L’attenzione dei Marinelli, in questi giorni, è anche per un concerto di loro campane a Indianapolis, negli Stati Uniti. Ma tra i progetti e i fronti sempre nuovi dell’attività, nella mente dei proprietari di questa azienda-museo c’è anche un sogno: “Nel 2020 ricorreranno i 25 anni della visita di Giovanni Paolo II – rammenta Armando – e ci piacerebbe tanto poterla commemorare con la visita di un altro Pontefice: insomma avere qui papa Francesco”. L’invito per Bergoglio, anche se in via solo ufficiosa, di fatto è già partito.

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