• Editoriale
  • Il mistero della Tavola Osca, i dubbi di Luciano Scarpitti

    Torna d’attualità la Tavola Osca, sulla quale dal 1848, quando è stata trovata e portata alla conoscenza del mondo storico-scientifico da Francesco Saverio Cremonese, è stato costruito un vero e proprio mito a causa delle scarse e talvolta contraddittorie e fantasiose informazioni.

    Sulla storia di quella Tavola di bronzo, che elenca 15 divinità venerate dal popolo Sannita, ma che ha anche un grande valore per la conoscenza della lingua osca, ora è stata costruita una favoletta che non corrisponde alla realtà dei fatti: un contadino, Pietro Tesone, arando un campo nel mese di marzo vicino a Capracotta si imbatte in quel reperto, lo porta al proprietario del terreno, Gian Gregorio Falconi, il quale lo consegna ad un orafo, Vincenzo Paolo D’Onofrio, dopo di che la notizia viene diffusa dal Cremonese. Sembra tutto semplice, invece non è così, mancano alcuni elementi essenziali riguardanti il luogo, il clima, le date e le ricerche fatte che modificano tutta la storia.

    Molti dubbi, non certezze, sono stati avanzati da due importanti studiosi della storia sannitica e altomolisana, oltre che profondi conoscitori del territorio, Paolo Nuvoli e Bruno Paglione, e resi noti al mondo culturale mediante un libro pubblicato a gennaio di quest’anno dal titolo emblematico “Gli enigma – La tavola osca e Pietrabbondante”.

    Il primo dubbio riguarda il mese di ritrovamento: Bruno Paglione sostiene che “chi conosce il clima di Capracotta sa con certezza che è pressoché impossibile che qualcuno abbia arato i campi a marzo presso Fonte del Romito, il luogo indicato del ritrovamento, che in quel mese ha le stesse rigide temperature. Basta ricordare che proprio l’8 marzo di quest’anno in quella zona sono caduti quasi tre metri di neve”.

    Il secondo dubbio riguarda la lettera del 25 aprile 1877, scritta da Giangregorio Falconi. Si può credere ciecamente ad una persona che scrive 30 anni dopo il ritrovamento, 14 anni dopo la vendita all’antiquario romano e 4 anni dopo la cessione al museo londinese, per rivendicare a Capracotta il diritto di proprietà della tavola e forse anche un risarcimento per se stesso? In quella lettera indicava nel contadino Tesone colui che arando si era imbattuto nel prezioso reperto, cosa che nessuno aveva mai detto nei trent’anni trascorsi. Inoltre è certo, come ha riscontrato con la massima precisione un altro studioso, Antonino Di Iorio, che Giangregorio non era proprietario di quel terreno e forse non sapeva che nel 1848 non apparteneva neanche a suo padre né a sua madre. Quindi il Tesone, contadino che lavorava per la famiglia, non poteva aver arato quel campo; non a marzo e neppure nei mesi successivi.

    Il terzo dubbio viene dal fatto che Francesco Saverio Cremonese, appassionato archeologo di Agnone e divulgatore della notizia del ritrovamento, senza molti particolari, spiega che nelle vicinanze del luogo esisteva un grande tempio. “Ma – sostiene Nuvoli – un famoso e stimato archeologo, Ivan Rainini, che per conto della Soprintendenza Archeologica del Molise ha condotto le ricerche dal 1979 al 1985 scoprì un abitato sannitico rurale utilizzato in caso di necessità, ma nessun tempio”.

    Ora, se le premesse della notizia creano tante incertezze negli studiosi, viene da chiedersi perché il Prof. Adriano La Regina ed il Dr. Nicola Mastronardi non dedicano alcuna attenzione a questi particolari e d’un tratto cancellano i trent’anni trascorsi dal rinvenimento della tavola alla lettera di Giangregorio Falconi durante i quali sono avvenuti fatti importanti? Perché sembra che vogliano accantonare la figura di Francesco Saverio Cremonese il quale scrisse che aveva fatto una copia su carta della tavola e commissionato una copia in metallo? Sarebbe interessante sapere, inoltre, cosa pensano dei ripetuti viaggi da Agnone a Napoli che i fratelli Cremonese fecero fare alla Tavola. Hanno anche trascurato il fatto che venne misteriosamente “rubata” rimanendo nascosta per parecchi anni, fin dopo l’unità d’Italia, quando, in presenza di leggi più permissive, venne altrettanto misteriosamente “ritrovata”. Avrà avuto qualche influenza in tutta la storia anche l’altissimo valore commerciale del reperto?

    Dal punto di vista storico e culturale, quello che interessa noi, la Tavola acquista per intero il suo significato se vista nel contesto del grande santuario di Pietrabbondante dove i Sanniti potevano rivolgersi a tutte le divinità in essa contenute. Né potrebbe avere valore diverso anche se fosse stata trovata nel tempietto di Carovilli, in quello di Vastogirardi o in quelli di Schiavi D’Abruzzo. La cosa più probabile è che sia stata trovata proprio lì, dove all’epoca agivano quasi indisturbati molti “cercatori” a caccia di reperti da vendere ai tanti appassionati italiani e stranieri. Ma questa via non è mai stata indagata, perché?

    Per quanto riguarda l’autenticità, Nuvoli, Paglione e lo storico Natalino Paone, in modo velato, e l’architetto Franco Valente, molto apertamente, da me intervistati in merito di recente, hanno espresso l’opinione che l’originale non sia quello esposto a Londra; quindi non rimane altro da fare che ringraziare gli eredi dell’orafo D’Onofrio, che in precedenza non avevano mai acconsentito a mostrare il prezioso reperto, e andare a vedere di persona questa “mitica” Tavola. Per il momento resta insoddisfatto il desiderio di vedere sciolti anche i molti dubbi ancora persistenti, sui quali, tuttavia, dovrebbe pronunciarsi anche e soprattutto la Sovrintendenza del Molise.

    Luciano Scarpitti 

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