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  • L’assessore-infermiera Sciullo: «Basta autolesionismo: l’ospedale va difeso, non chiuso»

    «Leggo da più parti che a causa di un esame non urgente, perché se fosse stato urgente il paziente sarebbe venuto in Pronto Soccorso, non effettuato l’ospedale “Caracciolo” andrebbe chiuso. Tra l’altro l’esame era da effettuare nell’ambulatorio che pur essendo allocato dentro l’ospedale, non riguarda direttamente l’assistenza ospedaliera. Comprendo lo sconforto di chi si reca in ospedale e trova l’ambulatorio sospeso per l’improvvisa assenza del medico che lo effettua. Ciò che non comprendo è l’atteggiamento disfattista e autolesionista che ne deriva».

    Enrica Sciullo, assessore comunale di Agnone ed infermiera ospedaliera, entra nel dibattito pubblico alimentato da quelli che sembrano casi di malasanità, o meglio di prestazioni lente o inesistenti come appunto un esame da fare che salta per l’assenza del professionista. Lamentele e proteste «autolesioniste» secondo l’assessore alle politiche sociali del Comune di Agnone, che non fanno altro che trasmettere l’immagine di una struttura sanitaria smantellata, un carrozzone utile solo a pagare gli stipendi al personale residuo.

    «Negli anni sono cambiati i diversi direttori generali, direttori amministrativi, direttori sanitari, commissari. Risultato: nulla è cambiato, tutto è peggiorato. – riprende nella sua analisi Enrica Sciullo – Neanche il più grande manager sanitario può muoversi liberamente nella sanità molisana senza sentire il fiato sul collo della  politica che con cavilli, controllo, e soprattutto poca lungimiranza. Tutti abbiamo avallato, con un comportamento egoistico sia interno alla rete sanitaria che esterno, il processo di distruzione della sanità molisana. Aggiungo inoltre che la pandemia, più che stressare il sistema, lo ha portato vicino al collasso». Già, quella pandemia che altrove, ad Atessa ad esempio, pochi chilometri oltre il confine con l’Abruzzo, hanno saputo sfruttare per potenziare l’ospedale, con nuove attrezzature e nuovi reparti. Il “Caracciolo” è rimasto al palo, perché la politica locale non ha percepito l’opportunità derivante dalla trasformazione temporanea della struttura in un covid hospital.

    «I tempi non sono dei migliori, sicuramente, – riprende l’assessore Sciullo – ma non abbiamo altra scelta che resistere e lottare. I problemi ci sono, e sono tantissimi, ma con tutte le figure professionali presenti nel “Caracciolo” cerchiamo di andare avanti dando il meglio e mitigando per quanto possibile tutte le criticità presenti». E dà notizia, l’assessore Sciullo, di alcuni timidi segnali di ripresa per il malandato “Caracciolo”. «Abbiamo un nuovo medico  a supporto della medicina. Ci sono stati assegnati quattro infermieri, due a luglio e due hanno preso servizio ieri, a sanare la cronica carenza di questa figura dovuta ai pensionamenti. Abbiamo diverse figure di supporto ad incarico nei servizi e nel reparto. Deve arrivare la Tac e un mammografo nuovo, ho visto gli atti. Non ritengo che tutto ciò possa andare chiuso e soprattutto non credo che un presidio come il “Caracciolo” sia inutile per la nostra collettività». Insomma, qualcosa funziona, questo dice l’assessore Sciullo. Ammesso che sia così, siamo tuttavia distanti dagli standard operativi di un ospedale di area disagiata, come è classificato, almeno sulla carta, il “Caracciolo” di Agnone.

    «Abbiamo la necessità di un Pronto soccorso perché chi vive una situazione di emergenza, in assenza del 118, per un soccorso immediato, possa trovare una struttura che lo accolga e lo indirizzi in sicurezza verso la struttura più idonea. – ammette poi Enrica Sciullo – Abbiamo bisogno del reparto di medicina e di lungodegenza. Abbiamo bisogno della dialisi, radiologia, laboratorio, day surgery, e quanto ancora si può potenziare per vivere in sicurezza. Abbiamo bisogno di servizi territoriali e distrettuali funzionanti e soprattutto adeguati alle nostre necessità».

    «Aggiungo inoltre – chiude l’assessore comunale – che arrendersi e distruggere è facile, ripartire e progettare è difficile, ma doveroso. Lo dobbiamo a noi, ai nostri figli e, che piaccia o meno, anche ai nostri avi che tanto hanno fatto per darci una sicurezza sanitaria».

    Francesco Bottone

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