ANSA) – CAMPOBASSO, 9 LUG – L’agguato, le torture, la morte: una furia assassina per 300 euro, qualche collanina senza particolare valore, le fedi, e un tablet. L’Italia che si commuove e l’Italia che dimentica e abbandona, tutt’insieme in un piccolissimo lasso di tempo. E’ amareggiato il fratello di Rita Fossaceca, il medico molisano ucciso con un colpo di pistola puntato dritto al cuore nella cittadina di Watamu in Kenya, lo scorso 28 novembre.
“Il caso di mia sorella – denuncia Pierluigi Fossaceca – non può essere relegato a un caso minore rispetto ad altri e invece Rita sembra già dimenticata. Lo è stata da subito”. Ora la Farnesina ha comunicato che per il processo in corso contro due imputati, del commando di 5-6 persone che fece irruzione nella casa che ospitava gli italiani, uccise la dottoressa, picchiò e torturò gli altri con i machete, i familiari della donna che erano con lei la sera dell’aggressione saranno ascoltati in videoconferenza dall’Italia. Sull’accaduto, oltre al processo in corso in Kenya, è aperto anche un fascicolo contro ignoti a Roma, fascicolo affidato al pm Sergio Colaiocco, lo stesso del caso Regeni.
Ma Pierluigi è preoccupato che l’attenzione sul caso non sia adeguata e, seduto sul divano di casa a Trivento, parla per la prima volta della vicenda della sorella volontaria, la cui morte ha unito il Molise al Piemonte, il piccolo centro della provincia di Campobasso a Novara, dove Rita Fossaceca lavorava in ospedale. Quando poteva, andava in Africa: i bambini di un orfanotrofio avevano bisogno di lei e del suo camice bianco. Dal processo in corso in Kenya Pierluigi Fossaceca attende umanamente giustizia, nessuna vendetta. E per questo spera che i riflettori sull’orrore vissuto dalla sua famiglia non si spengano. “Vogliamo sapere – dice -, se è stata solo una rapina, vogliamo sapere chi ha ucciso mia sorella e torturato i miei genitori, mio zio e le infermiere assistenti di Rita”.
Tanti i punti da chiarire in una vicenda che nemmeno all’apparenza è poi così semplice. Pierluigi ricostruisce i fatti: “Nonostante il sospetto della presenza di un basista, che conosceva le abitudini della casa – dice -, queste persone hanno deciso di agire poche ore prima della partenza: il denaro che Rita aveva portato con sé dall’Italia era stato tutto speso per le necessità dell’orfanotrofio e dell’infermeria”. Il dubbio più atroce ritorna: “Spero non sia stata un’esecuzione, lo spero per mia sorella e per tutti. Sappiamo che le persone che lavoravano in casa si sono solo sdraiate a terra mentre i rapinatori, cinque o sei uomini incappucciati e armati di pistola e machete, si accanivano sui miei genitori e sulle infermiere”. Vere e proprie torture: “Li hanno picchiati selvaggiamente, massacrati. Mia madre ha subito la frattura delle costole e danni alla colonna vertebrale. Rientrata in Italia, è stata sottoposta a un intervento. Mio padre ha ancora difficoltà alla spalla e al braccio. Don Luigi, mio zio, quasi ottant’anni, ha subito la frattura delle costole, danni alla schiena, un trauma cranico”.
Rita ha provato a difendere la madre, il padre, lo zio. “Ha tentato di allontanare le infermiere dalla furia degli aggressori”, ha reagito e le hanno sparato. “L’hanno ammazzata per nulla, poche centinaia di euro – aggiunge – forse pensavano di trovare qualcosa in più e questo ha scatenato la loro rabbia”. “Rita in Kenya era benvoluta da tutti – sottolinea il fratello – perché tutti sapevano che arrivava lì per fare del bene e non solo ai bambini dell’orfanotrofio: si prendeva cura delle persone comuni che incontrava per strada”, Pierluigi ci tiene a ricordarlo. Come ci tiene a mantenere ora lui un rapporto con quei bambini cui è stato tolto anche l’amore del medico italiano. “Continuiamo a vederli tramite Skype, la morte di mia sorella li ha sconvolti. Tornerei da loro, dai bambini di Rita, anche domani” conclude Pierluigi Fossaceca, con gli occhi lucidi anche per la paura di doversi arrendere all’indifferenza. (ANSA)