TREIA (MC) – L’Atlante dell’Appennino, promosso dai Parchi nazionali delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e dell’Appennino Tosco-Emiliano, realizzato dalla Fondazione Symbola con la collaborazione di 40 esperti e con il sostegno del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, propone per la prima volta una lettura unitaria dell’Appennino per farne emergere la rilevanza e la centralita’ nelle geografie fisiche, storiche, economiche e culturali del Paese ma anche le sue fragilita’, a partire da quelle sismiche che ne hanno costellato la storia e ne accompagneranno il futuro. Un sistema ambientale di 1.300 chilometri che si snoda lungo tutta la Penisola fino a Le Madonie – nel cuore della Sicilia, oltre i Peloritani e i Nebrodi. Con una superficie di 94.375 chilometri quadrati (31% della superficie nazionale) superiore a nazioni come l’Ungheria, il Portogallo o l’Austria. Attraversa 14 Regioni e 2.157 comuni (27% dei comuni italiani), dove vivono 10,4 milioni di abitanti, il 17% della popolazione italiana – lo stesso numero di 25 anni fa grazie al contributo di 663mila immigrati. L’Appennino non ha eguali a livello continentale per percentuale di superficie tutelata da aree protette: ben il 16,1% (10,4% grazie a 12 Parchi nazionali e 5,7% per il contributo di ben 36 Parchi regionali) che arriva al 30% se consideriamo anche i 993 Siti di Rete Natura 2000. Il 39,3% del territorio dell’Appennino e’ coperto da boschi: un’area di 3,7 milioni di ettari che rappresenta la forma piu’ significativa di uso del suolo. E anche quella con la maggior dinamica di espansione: +40,8% tra il 1960 e il 1990, +1,5% tra il 1990 e il 2012. L’Appennino rappresenta una parte importante del tessuto produttivo nazionale: da sempre e’ terra di produzione e di saperi. Competenze produttive e attivita’ storicamente presenti che ancora vivono lungo la dorsale: dalla carta di Fabriano alla ceramica (quella umbra, quella di Castelli o di Reggio Calabria), dal tessile (quello di Macerata, la maglieria del perugino, il panno del Casentino o il merletto a tombolo di Isernia) alla concia e lavorazione delle pelli di Tolentino alla gioielleria del distretto di Arezzo fino all’agroalimentare, che sia il prosciutto di Parma del distretto di Langhirano o i formaggi di Agnone. L’Atlante per la prima volta quantifica la ricchezza prodotta da quest’area.
Dalle imprese appenniniche viene prodotto il 14% del valore aggiunto nazionale: 202,9 miliardi di euro, e il 16% del bestiame allevato in Italia. Le imprese appenniniche sono quasi un milione, il 17,2% del totale nazionale, attive principalmente nel commercio, nell’agricoltura, nella silvicoltura e pesca, nelle attivita’ manifatturiere, e nel turismo e ristorazione. L’economia dell’Appennino, in linea col resto dell’Italia, deve la maggiore quota di ricchezza prodotta ai servizi: in media 76% circa del totale (il dato italiano e’ 74,4%), con l’industria al 20,8% (23,4% Italia nel suo complesso) e l’agricoltura al 3,2% (Italia 2,2%). Notiamo che agricoltura e servizi portano al valore aggiunto totale dell’Appennino una quota maggiore di quella che portano a livello nazionale. Nell’ambito dell’agroalimentare le 149 denominazioni DOP e IGP appenniniche (il 51% sulle 294 totali in Italia) hanno una produzione di 207 mila tonnellate certificate per un valore alla produzione stimato intorno ai 1,2 miliardi di euro. Quanto alle produzioni vinicole, ricadono nel sistema appenninico 197 denominazioni DOP e IGP (il 37% sulle 526 complessive in Italia), con un valore alla produzione dell’imbottigliato stimato in circa 820 milioni di euro. Nel suo complesso, il vasto paniere di produzioni DOP e IGP dell’Appennino ha un impatto economico di forte rilievo, stimato in oltre 2 miliardi di euro in termini di valore alla produzione (il 16% del totale nazionale DOP e IGP pari a 13,8 miliardi), concentrato soprattutto nell’Appennino settentrionale (quasi i due terzi del valore complessivo, 65% del totale), poiche’ in quest’area ricade il maggior numero di filiere e – soprattutto – si concentrano quelle con piu’ alto valore produttivo, mentre il resto si ripartisce, nell’ordine, fra Appennino centrale (16%), Appennino meridionale (10%) e Appennino calabro-siculo (9%). Attraverso l’analisi di due milioni e mezzo di post (da Twitter soprattutto, poi dalle news online, dai forum, da Facebook, dai blog) pubblicati in 13 mesi (1 gennaio 2016 – 31 gennaio 2017) in 6 diverse lingue: le principali lingue europee – dunque italiano (1.851.573 post), inglese (499.272), francese (30.107), tedesco (50.178), spagnolo (70.249) – piu’ il rumeno (7.527), visto che e’ rumena la piu’ numerosa comunita’ di stranieri presente in Italia. Il web ci dice, innanzitutto, che l’Appennino e’ tra le catene montuose piu’ conosciute al mondo. Nei post in lingua spagnola, dedicati ai monti, nelle prime dieci posizioni per frequenza di citazioni troviamo due monti appenninici: Terminillo e Gran Sasso.
Nei post in lingua inglese ne troviamo invece tre (Gran Sasso, Aspromonte e Terminillo) nei primi venti. “Dalle filiere del legno, in grado di rifornire un segmento sempre piu’ importante di una moderna e rinnovata industria delle costruzioni, a quelle agroalimentari che possono beneficiare dei mercati e della ristorazione locali” – spiega Fabio Renzi, segretario generale della Fondazione Symbola – “dall’artigianato tradizionale e di qualita’ alla manifattura digitale, dalla organizzazione di una piu’ evoluta offerta turistica alla promozione del patrimonio culturale, fino alle cooperative di comunita’, nuove forme di sussidiarieta’ sociale che innovano il welfare locale: i tanti esperti che hanno dato il loro contributo a questo Atlante convergono nell’individuare l’Appennino come laboratorio di sostenibilita’. Anche grazie ad una contemporaneita’ che azzera le vecchie geografie e gerarchie territoriali, che ha gia’ mutato profondamente le nostre percezioni spaziali e temporali, i nostri orientamenti etici e culturali, i nostri stili di vita, dove l’universo digitale nel quale siamo immersi ci propone nuove forme ed esperienze di prossimita’. Una contemporaneita’, annunciata e anticipata dalla nascita dei Parchi, che puo’ riscattare l’Appennino da quella condizione remota, distante, isolata, elusiva e declinante nella quale la modernita’ l’ha collocato”. “Un quadro di opportunita’” – commenta Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola, che ha presentato i lavori dell’Atlante – “che oggi possono essere colte piu’ facilmente ed efficacemente grazie alla recente approvazione della legge per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni e alla emanazione del nuovo testo unico forestale”. “Serviva un rapporto unico come questo Atlante quale strumento per capire le opportunita’ di “Coesione e’ Competizione”” – dichiara Fausto Giovanelli, presidente del Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, richiamando il titolo del seminario di Symbola di quest’anno – “per fare dell’Appennino una frontiera di crescita del Paese, di green economy e di migliori stili di vita”. “L’Atlante dell’Appennino, che abbiamo fortemente voluto” – sostiene Luca Santini, presidente del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterone e Campigna – “rappresenta contemporaneamente il presupposto dell’impegno che abbiamo messo in campo e uno sguardo verso il futuro della “spina dorsale” del nostro Paese”.