La decisione di togliersi la vita per una delle tante ragioni, accidentali o non che possono rendere insopportabili le sofferenze della inabilità o della malattia, costituisce uno dei momenti più drammatici della esistenza umana.
Nel IV secolo A.C., Socrate bevve la cicuta, per in qualche modo sbeffeggiare tutti coloro tra i Giudici che lo avevano condannato a morte, proprio mediante avvelenamento con cicuta e forse per sfuggire, mi scuso per l’ironia, alla sua terribile Santippe.
Non sopportava più la vita perché gli Ateniesi erano stati terribilmente ingrati, lo avevano chiamato corruttore dei giovani, gli impedivano di respirare l’aria di libertà , la diffusione delle sue idee, quindi, la vita per lui era diventata non più tollerabile, penosa.
Il suo suicidio non fu drammatico, non fu nemmeno doloroso: lo scelse quasi allegramente.
Cinque secoli circa più tardi, Petronio, scelse anch’egli di morire svenandosi e raccontando durante il torpore, dopo essersi fasciato le vene recise, ed essendo poi tornato a reciderle ancora, in una sorta di beatitudine, di sdilinquimento durante il quale raccontava ai suoi amici la sua filosofia, le sue idee, declamava le sue poesie, potremmo continuare all’infinito nella storia dei suicidi.
L’era moderna ha conosciuto una forma di insopportabilità inedita: dovuta certamente al martirio, o al dolore o alla sofferenza della malattia o ad altro, ma anche a quell’accanimento terapeutico, grazie alla tecnologia e alla farmacologia, per cui la vita umana potesse protrarsi mediante l’uso di farmaci, strumenti, alimentazione artificiale, idratazione, macchine cardiocircolatorie, che rendevano la vita residua, di una persona condannata irreversibilmente a morire, più dolorosa e inaccettabile.
Il caso di Eulalia Englaro, di Welby, di Luca Coscioni, sono apparsi, negli ultimi anni, le esperienze più impressionanti, il dibattito è subito nato violento e pressochè insolubile: si può sospendere o interrompere la vita quando essa, sia pure tenuemente, sia ancora in essere e senza una precisa volontà della persona, che non ha più voglia di vivere e di esistere, ma che, però, per le sue stesse condizioni fisiche e mentali menomate o addirittura inesistenti, non sia in grado di esprimere le sue volontà di cessazione della vita.
Lucio Magri, uno dei politici ed intellettuali più raffinati d’Italia, giunto anche lui ad uno stato di depressione gravissima, a patemi d’animo non più tollerabili, soprattutto dopo la morte della moglie, decideva nel novembre 2011, di raggiungere una clinica Svizzera, nella quale potere liberarsi della vita e darsi la morte: una morte dolce assistita da parte di operatori sanitari con aghi e punture .
Egli era cosciente e perfettamente responsabile delle sue decisioni, non potè essere soggetto a nessun impedimento, anche se l’ordinamento giuridico italiano di tutti i tempi ed anche quelli internazionali in prevalenza, fanno divieto di suicidarsi.
Nasceva, così, prepotentemente e pressochè insolubilmente, il problema sul se la vita umana possa essere interrotta dal semplice volere della persona che non senta più amore per la vita, per qualsivoglia ragione.
Così, indipendentemente da tutto il dibattito culturale, religioso, politico, etico, che si è acceso su questo problema, e sul fatto che Englaro, il padre di Eulalia, volendo sottrarre la figlia alle ulteriori sofferenze che le procurava un accanimento terapeutico insensato, combattè per il distacco dalle povere ed esauste carni della figlia, delle macchine che la tenevano in vita.
Il dibattito divenne violento perchè non vi era nessuna prova che la figliola avesse espresso, questa sua volontà, mediante una prova scritta indiscutibile, appunto attraverso un testamento biologico.
Senonchè, una sentenza del Tribunale di Modena (5.11.2008) dava ragione alla tesi del padre e, così, in un giorno, con una autoambulanza opportunamente protetta, la povera ragazza veniva dimessa da uno ospedale dove le venivano praticate terapie intensive pietose, sul suo corpo, e trasportata in una clinica privata, che divenne subito dopo il simbolo della vittoria, in qualche modo, della ragione sulla insulsità di una terapia accanita che non portava a nessuno sbocco.
Si sviluppava e si accendeva, così, il dibattito, tuttora in corso, sul testamento biologico ovvero sul se fosse, e sia, lecita la prevalenza della volontà del soggetto a farla finita con la propria vita nonostante i divieti della religione cattolica, la recente veemente invettiva del Presidente della CEI Cardinale Bagnasco, il rifiuto di firmare, da parte del Presidente della Repubblica, il Disegno di Legge che in qualche modo riconosceva e modulava il diritto della persona a sospendere le terapie farmacologiche e meccaniche, destinate a prolungare la vita.
Viene, così, conclamato, richiamando sia pure discutibilmente, gli art.li 15 e 32 della Costituzione, il diritto di dichiarare e di scegliere anticipatamente allo stesso modo in cui con un testamento si disponga dei beni e delle proprietà in favore degli eredi – da cui la parola testamento biologico – “la volontà da parte di una persona (testatore) fornita in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato) per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali, che impediscano una normale vita di relazione”.
Nascevano, così, le associazioni già ricordate di Luca Coscioni e di Eulalia Englaro, nonchè le associazioni Exit ed altre, che tra dubbi atroci, polemiche e dibattiti infiniti, hanno tentato di formulare una bozza di testamento biologico che riproduciamo nei suoi tratti essenziali e più significativi.
TESTAMENTO BIOLOGICO
(ovvero DIRETTIVE o DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO
o QUALSIVOGLIA ALTRO APPELLATIVO PER IL MEDESIMO CONTENUTO)
IO SOTTOSCRITTO/A………. nel pieno delle mie facoltà mentali, e allo scopo di salvaguardare la dignità della mia persona,
affermo solennemente
con questo documento, che deve essere considerato come una vera e propria dichiarazione di volontà, il mio diritto, in caso di malattia, di scegliere tra le diverse possibilità di cura disponibili e al caso anche di rifiutarle tutte, nel rispetto dei miei principi e delle scelte di seguito indicate.
Intendo inoltre che le dichiarazioni contenute in questo documento abbiano valore anche nell’ipotesi in cui in futuro mi accada di perdere la capacità di decidere o di comunicare le mie decisioni ai miei medici curanti sulle scelte da fare riguardo ad una malattia.
A questi fini prevedo la nomina di un fiduciario che si impegna a garantire lo scrupoloso rispetto delle mie volontà e, se necessario, a sostituirsi a me in tutte le decisioni.
PER QUESTI MOTIVI DISPONGO QUANTO SEGUE
Disposizioni generali
Dispongo che interventi oggi comunemente definiti “provvedimenti di sostegno vitale” e che consistono in misure urgenti quali, ad esempio, la rianimazione cardiopolmonare, la ventilazione assistita, la dialisi, la chirurgia d’urgenza, le trasfusioni di sangue, l’alimentazione artificiale, terapie antibiotiche, non siano messi in atto, qualora il loro risultato fosse, a giudizio di due medici, dei quali uno specialista:
* il prolungamento del mio morire
* il mantenimento di uno stato d’incoscienza permanente
* il mantenimento di uno stato di demenza
* totale paralisi con incapacità a comunicare
In particolare, nel caso io fossi affetto/a da una malattia allo stadio terminale, da una malattia o una lesione cerebrale invalidante e irreversibile, da una malattia implicante l’utilizzo permanente di macchine o altri sistemi artificiali, incluso ogni forma di alimentazione artificiale, e tale da impedirmi una normale vita di relazione, rifiuto qualsiasi forma di rianimazione o continuazione dell’esistenza dipendente da macchine e non voglio più essere sottoposto/a ad alcun trattamento terapeutico.
Disposizioni particolari
Nella prospettiva, inoltre, di un’auspicata depenalizzazione, anche nel nostro paese, dell’eutanasia, nel caso in cui anche la sospensione di ogni trattamento terapeutico non determini la morte, chiedo che mi sia praticato il trattamento eutanasico, nel modo che sarà ritenuto più opportuno per la conclusione serena della mia esistenza.
Altre disposizioni particolari
Un documento altamente drammatico, doloroso, terribile, come lo è ogni decisione di porre fine alla propria esistenza.
Il dilemma, in effetti, è forte : è comprensibile che esso abbia dato, e dia, luogo a dispute anche violente sul piano etico-morale, sul piano religioso.
Il Comitato di Bioetica Nazionale, nel novembre 2003, si espresse con un documento di 19 pagine, in cui si afferma che le dichiarazioni anticipate non possono contenere indicazioni:
“in contraddizione con il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia, il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza e che il diritto che si vuole riconoscere al paziente di orientare i trattamenti a cui potrebbe essere sottoposto, ove divenuto incapace di intendere e di volere, non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto con il medico ma esclusivamente il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi e tragici di sostegno vitale, pratiche che il paziente avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare, ove capace”.
Per ulteriori informazioni, ricordiamo la Convenzione sui Diritti Umani e la biomedicina di Oviedo del 1997, firmata ma non ratificata dall’Italia, sempre sul dilemma e sulla liceità o meno del diritto di procurarsi la morte.
I dubbi naturalmente non cesseranno mai.
Ognuno di noi è chiamato a dare una risposta, secondo le nostre tradizioni, la nostra cultura, la nostra fede religiosa, le nostre tendenze politiche, insomma la nostra storia.
di Franco Cianci