In questi giorni abbiamo vissuto con sofferenza indicibile le difficoltà che gli anziani devono subire in un sistema di assistenza del tutto inadeguato che è stato pensato per essi nel corso degli ultimi anni e che, come da tempo sottolineiamo con insistenza, va profondamente ripensato e possibilmente reinventato intorno a forme di cura domiciliare e semiresidenziale o in alternativa attraverso esperienze di senior co-housing.
Pur essendoci già occupati diverse volte di tale questione, ne accenniamo ancora in premessa solo perché essa è direttamente in relazione con il tema che proviamo ad analizzare di seguito.
Colpendo nel mondo più di cinquanta milioni di persone che potrebbero triplicare nel 2050, l’Alzheimer crediamo si possa considerare ormai una delle malattie più diffuse della nostra epoca.
È una patologia degenerativa che interessa il cervello nella capacità mnemonica, nel ragionamento, nel linguaggio e nell’orientamento generando ansia, depressione, angoscia e talora delirio, allucinazioni, aggressività, violenza, reazioni paranoiche ma soprattutto insicurezza e perdita di autonomia.
La ricerca sta lavorando da anni sulla demenza e ovviamente la speranza di tutti è che si trovi una soluzione radicale per il problema.
Ad oggi purtroppo ancora non si intravvede nulla del genere all’orizzonte se non i test genetici su eventuali predisposizioni, l’eliminazione dei fattori di rischio e alcuni trattamenti farmacologici in grado di modulare i disturbi della sfera cognitiva e comportamentale e rallentare gli effetti della malattia; possiamo tuttavia continuare a riflettere su come intervenire in ordine alla prevenzione, alla terapia e all’assistenza promuovendo sempre più lo studio sull’accertamento del livello di consapevolezza dei malati e sulle modalità di comunicazione con loro per renderli il più possibile autonomi e sereni.
Per questo, seguendo le indicazioni del metodo Gentlecare della studiosa canadese Moyra Jones, occorre capire quali siano i bisogni di una persona affetta da Alzheimer e promuoverne un’assistenza socio-sanitaria integrata e flessibile attraverso personale sanitario, assistenti sociali, caregivers e volontari adeguatamente preparati sul piano medico, psicologico e sociale.
Al momento il rallentamento per via farmacologica della perdita delle funzioni cognitive per chi è affetto da demenza e il maggior benessere possibile per lui e per i suoi familiari ci sembrano i principali obiettivi da perseguire.
È quanto si cerca di fare in generale anche grazie all’Alleanza Mondiale per la lotta all’Alzheimer.
Non abbiamo dati certi, ma talune stime ci dicono che nella nostra regione i malati con questa patologia potrebbero essere più di cinquemila.
In Molise abbiamo un Centro Alzheimer a Campobasso che cerca di gestire al meglio in città la situazione di chi, malato di demenza, viene portato nel centro diurno di via Toscana affidato ad una cooperativa.
Intanto tale esperienza andrebbe allargata il più possibile almeno nei centri più popolosi, ma occorrerebbe lavorare per preparare sempre più adeguatamente chi si occupa direttamente del rapporto con i malati e le loro famiglie.
L’associazione A.M.M.A. (Associazione Malati Molisani Alzheimer) con il contributo della Fondazione Unicredit ha dato vita al Caffè di Enrichetta, un open day d’incontro e di sensibilizzazione.
L’idea da noi maturata è quella di partire da un gruppo di volontari, da costituire in via preliminare e in fase sperimentale, da formare sul piano scientifico e metodologico e da impegnare sul territorio in aiuto alle famiglie colpite nella malattia in un proprio componente.
Si tratta di far nascere un’associazione di volontariato che si faccia carico di un lavoro attualmente inesistente che è quello di un supporto sempre più adeguato ai malati di Alzheimer e alle loro famiglie a livello domiciliare secondo modalità da definire in corsi di preparazione tenuti da esperti.
Il loro compito dovrebbe essere quello di seguire le famiglie interessate a partire dai loro bisogni in caso di diagnosi della malattia e poi nelle diverse fasi della stessa.
Pensiamo che la prima cosa da fare sia quella di organizzare un sito internet come guida alla conoscenza della patologia ed ai risvolti correlati.
Sarebbe utile anche curare un opuscolo con le principali indicazioni operative sul piano delle richieste burocratiche a livello previdenziale e assistenziale.
Successivamente è opportuno che chi decide di dedicarsi a tale attività di volontariato sociale proceda con l’aiuto di medici preparati ad uno studio accurato della sintomatologia e delle fasi della malattia di Alzheimer con la ricerca consequenziale delle tecniche di tipo relazionale da indicare ai familiari dei malati per evitare i fattori di rischio e facilitare i canali comunicativi rispettosi della persona affetta da tale male.
Il disagio nell’accettazione della malattia da parte dei familiari diminuisce certamente quando si è supportati in un compito così gravoso come quello di seguire chi è malato H24.
Anche l’aiuto in incombenze di tipo pratico dà sicuramente respiro a chi deve curare ed assistere un proprio caro malato di Alzheimer.
Fondamentalmente un’Associazione di volontari “Alzheimer Molise” dovrebbe avere degli obiettivi molto precisi quali la consulenza telefonica, i colloqui individuali, l’informazione periodica agli associati tramite il sito web o un periodico, incontri regolari delle famiglie con specialisti, organizzazione di terapia occupazionale e d’interventi psico-sociali per i malati a livello individuale e di gruppo, riunioni di auto e mutuo aiuto delle famiglie per un riequilibrio dallo stress, attività di Alzheimer caffè come momento di festa e distensione.
La nostra esperienza familiare di tredici anni continuativi di assistenza ad entrambi i genitori malati di Alzheimer è stata davvero molto dura.
Abbiamo avuto all’epoca la fortuna di avere solo il supporto della professionalità e dell’umanità del dott. Cosimo Dentizzi che è stato per noi l’unico aiuto nelle difficoltà affrontate.
Con grande fatica di ricerca personale e di confronto abbiamo capito ad esempio che la comunicazione e la relazione con l’ammalato non può avere alcun atteggiamento giudicante rispetto ai suoi comportamenti di difficoltà, insicurezza e violenza, ma va gestita con rassicurazioni, elasticità, sensibilità, emozionalità e in maniera particolare con grande e continuo affetto.
Le proposte sopra delineate partono dalla necessità di preparare personale qualificato e servizi di assistenza di tipo residenziale, ma soprattutto domiciliare in grado di far vivere i malati di Alzheimer con dignità nel proprio ambiente insieme ai propri cari e di garantire ai familiari ogni sostegno per portare avanti il difficile lavoro di assistenza.
Partire da un’esperienza di volontariato per allargare i servizi non può essere se non un inizio che immaginiamo possa vedere il suo primo concretizzarsi anzitutto all’interno di strutture del terzo settore votate all’assistenza sociale.
Si può certamente poi allargare l’iniziativa coinvolgendo in essa anche i tanti giovani a disposizione delle Caritas diocesane o di quelli impegnati nel servizio civile.
Dovranno essere in ogni caso le istituzioni pubbliche della regione a farsi carico dei tanti problemi irrisolti che abbiamo ancora in Molise su una malattia purtroppo assai diffusa e sul sistema di assistenza agli anziani sul quale dobbiamo davvero voltare pagina per darci modalità capaci del rispetto della dignità della persona.