«Pensano alle foto con i sacchi di sale sulle spalle o alla “caccia” agli untori. Noi siamo in isolamento da oltre quindici giorni e non abbiamo ricevuto neanche una telefonata dal Comune, né dalla Protezione civile. Tanto per dire: vi serve qualcosa? O solo per chiedere: come state?».
Lo sfogo è di una famiglia di Agnone, una delle tante in isolamento perché magari positiva al virus o perché ha avuto contatti stretti con positivi. Uno sfogo che è indice di un malumore più o meno generalizzato. Perché risultare positivi al virus significa anche essere additati come untori appunto. E’ lo stigma sociale: le persone vengono etichettate, stereotipate, discriminate, allontanate e sono soggette a perdita di status a causa di un legame percepito con una malattia, con “la” malattia del momento. Una discriminazione che pare interessi anche le istituzioni, stando almeno alle proteste di alcuni.
«Non ci serve niente, né un pacco di pasta né una pagnotta di pane, perché per fortuna abbiamo un lavoro, ma dall’amministrazione comunale o dalla Protezione civile, che poi è la stessa cosa, una telefonata di supporto, anche di facciata magari, sarebbe stata gradita. Invece assistiamo allo stucchevole teatrino del Consiglio comunale, dove si litiga a caccia di untori, di cenette più o meno romantiche o sui social alla ricerca della foto con il sacco di sale sulle spalle. Sono altre le cose importanti della vita, la malattia ce lo ha ricordato».
Caterina D’Alba